Ho visto, abbiamo visto. L’unica cosa che ora conta davvero

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È dura, terribilmente. 48 ore sono decisamente un lasso di tempo troppo breve per trovare con precisione parole adeguate. Ma ci proviamo. Dopotutto, sotto sotto, ce l’eravamo immaginata – con terrore – esattamente così fino ad una decina di giorni fa. Certo, qualcosa in più dal Milan ce lo aspettavamo ma, numeri, trend e quant’altro, ci suggerivano che occorresse una mezza impresa. Speravamo in un sussulto, in una doppia grande serata. Niente da fare. I rossoneri salutano il sogno di raggiungere la finale di Champions League al 7° minuto della sfida d’andata e, da quel momento, si dilettano in 173 minuti di trotto attorno ai giocatori dell’Inter, intervallati da timide e letargiche sortite verso l’area dove assisteva sereno Onana. Durante la partita di ritorno disputatasi martedì sera, ogni tifoso del Diavolo sparso per il globo, è stato probabilmente avvolto da un delirio personale cosparso di rabbia e incredulità. Con quei martellanti e importuni quesiti nella testa: “Sta accadendo davvero? Finisce così e basta? Dopo 20 anni ci stanno restituendo il favore senza che noi neppure lottiamo?” Sì. Sì, ho visto. Abbiamo visto tutti.

Ed è proprio in quella sensazione di delirio personale che, quasi come un summit tra anime contrastanti ed ego in conflitto tra loro, il tifoso si chiede cosa sia più giusto pensare. Perché innegabilmente, la sconfitta europea con i cugini, in parallelo con il claudicante percorso in campionato – con annessa uscita agli albori in Coppa Italia più solita pettinata stagionale dal buon Simone Inzaghi in Supercoppa in omaggio – ha fatto calare il sipario su una stagione dai contorni maledettamente fantascientifici. Da far impallidire Philip Dick. Incredibile, specialmente se si pensa a dove eravamo un anno fa. Beh, mancavano quattro giorni alla sfida decisiva con il Sassuolo, quella che avrebbe consegnato al Diavolo il suo 19esimo tricolore, in barba proprio all’Inter.

Il centravanti francese Giroud non trattiene le lacrime dopo l’eliminazione.

Dai giorni in cui, Olivier Giroud, si preparava a segnare la doppietta che ci avrebbe consegnato lo Scudetto alle toccanti lacrime di martedì sera. Campioni d’Italia, con entusiasmo e voglia di crescere ancora, con le rivali alle prese con problematiche da risolvere. Per poi ritrovarsi tristemente, un anno dopo, a vedere i cugini in finale di Champions League; Juventus e Roma in corsa per la finale di Europa League e la Lazio in piena corsa per i primi quattro posti con un’identità strutturata in stagione. Ah sì… ci sarebbe anche il Napoli che ha già vinto lo scudetto da gennaio dandoci indicativamente 20 punti di scarto, quisquilie.

Un passo indietro così forte e marcato, inevitabilmente, non può che assegnare ad ogni attore protagonista di questo progetto la propria fetta di responsabilità. Dal mercato fantasma agli strafalcioni tattici di un allenatore sempre più in confusione. Dalle strane linee comunicative, e non solo, di Paolo Maldini allo smarrimento sempre più intenso di Stefano Pioli. Non sono esenti neppure i giocatori, cullatisi oltremodo talvolta sui problemi tattici e incapaci di trovare giocate di valore tranne in rari casi e da pochi di loro. Scarsa concentrazione e superficialità dominante.

Si parlava di deliri prima. Beh, io ero tra quei tifosi. E nel mio personale delirio mi ha colpito un’immagine della sfida di martedì sera, la mia cartolina di questo Euroderby. Era il 79′ circa e guadagniamo una rimessa laterale, il pallone finisce tra i calciatori della panchina dell’Inter che, prontamente, ce lo restituiscono senza perdere un solo secondo. Che mazzata. Erano i dieci minuti finali di una semifinale di ritorno di Champions e non eravamo neanche a giocarcela fino all’ultimo secondo da indurre l’avversario a perdere tempo.

Una stagione deludente per il direttore tecnico Paolo Maldini.

Sì, ho visto anche questo. Quante cose abbiamo visto in queste stagione e, la maggior parte, ce le saremmo evitate volentieri. Ha ragione Baricco: “A volte le parole non bastano. Allora servono anche i colori”. Quello che più si addice al Milan è il grigio, come il rimpianto e la malinconia. Abbiamo visto. Ma ora, neanche a dirlo, ciò che più conta è quello che vedremo. A fine partita, ha parlato Paolo Maldini e, le sue dichiarazioni, sono state un monito alla proprietà ma, in alcuni tratti, sono andate anche in controsenso. Il direttore tecnico del Milan ha detto di aver riferito ai vertici quanto sia ancora distante il livello top che si auspica di raggiungere, aggiungendo come siano necessari certi tipi di investimenti. Al contempo, però, ha difeso il tipo di strategia adottata in modo azzardato lo scorso anno, rivendicando la scelta di puntare su un oggetto ancora misterioso come De Ketelaere, piuttosto che su un giocatore pronto come Dybala.

Forse il tempo, e soprattutto i fatti, saranno più chiari delle parole. Quello che ci resta, ad oggi, è la speranza che si sia appreso dai tanti errori commessi, a 360 gradi per ripartire subito con determinazione per la prossima annata. Intanto, nel mormorio dei ‘processi’, prova a divincolarsi Gerry Cardinale. Sul fronte stadio ancora pochi progressi, anche se certamente per colpe non sue. Ottimo biglietto da visita il rinnovo di Leao ma, ora, occorre capire cosa si vuole diventare. Giusto investire a lungo termine ma è opportuno iniziare anche a portare profondità ed esperienza alla rosa. Giusto essere grati a chi ha ottenuto straordinari risultati ma, per il futuro, bisogno anche saper tracciare una linea. Aspetteremo, vedremo. Ora va così. Intanto, in attesa delle parole giuste, ricordiamo le uniche vere e mai sbagliate: sempre forza Milan.

Joker

Un bisbiglio, un nuovo gioco. Una poesia da imparare, due colori che inebriano la mente ancor prima della vista. Uno spettro di emozioni da cui imparare a essere uomo. Questo è stato il Milan nella mia vita: il silenzio più profondo della passione, l'urlo più solenne e selvaggio dell'anima.