Coccodrella
Si consuma dunque il classico rito pagano che tutti i tifosi milanisti ormai inconsciamente aspettano da anni come unico momento di aggregazione e festeggiamento: diamo fuoco al fantoccio e liberiamoci in grida belluine, il Milan ha esonerato l’allenatore! Un incapace di meno: basta con le formazioni sbagliate e le tattiche sbagliate, e le dichiarazioni sbagliate. Spesso per poco tempo. Il triste pupazzo dell’anno è Vincenzo Montella, detto ‘Iammbell’, l’ultimo tecnico a condurre il Milan ad un trofeo ed anche l’ultimo condottiero del Giannino. L’anno scorso di questi tempi tanti (e il sottoscritto) apprezzavano l’applombe e lo stile discreto ma efficace dentro e fuori dal campo, oltre che la capacità di non accartocciarsi in scelte tecniche e tattiche impossibili o grottesche per cavare risultati da una delle peggiori rose del Milan da sempre. Oggi ne disprezziamo persino la sfumatura facciale al minuto xx:xx dell’ultima conferenza stampa. Beato il popolo che non ha bisogno di eroi, ma ancor di più quello che non necessita di scemi del villaggio.
Montella giunge in rossonero nel giugno del 2016, rilevando la posizione occupata dall’hobbit e lacchè del Presidente Brocchi. Peccato originario del Vincenzo: essere stato scelto da Galliani; nel momento di turbine societario legato all’avanzare della cordata Gancikoff/Galatioto è infatti l’AD a prendere la decisione, comunicandola a Berlusconi che secondo la leggenda in punto di morte non può far altro che avallarla. Montella dopo il disastro doriano ha l’occasione della vita perdipiù nella squadra di cui si è sempre professato tifoso, e così si mette al timone di una bagnarola alla deriva dopo i 120 milioni di euro buttati nel 2015 per costruire una squadra senza capo né coda, né talento, né valore alcuno, e dopo l’esonero di Mihaijlovic eseguito in tv da Melissa Satta (!), litigi nello spogliatoio, scleri sul campo, settimo posto e la finale di Coppa Italia persa. A questo punto dato che la vecchia proprietà non è più in carica, e la nuova tarda a giungere, Don Galliani fornito di quattro spicci si ritira in spiaggia per un mese e mezzo, dove confeziona mirabili operazioni celebrate dall’hit dell’estate “PIPPE FROM IBIZA”. Ne viene fuori una squadra con primavera, prestiti e giocatori presi al discount, più i soliti Giannino Boys e basta vedere dove è finita la maggior parte di questi oggi per rendersi conto del materiale terribile a disposizione di Montella. Oltre al casino societario in entrata c’è quello in uscita da gestire, fra giocatori scoglionati che cominciano ad annusare la mal parata (es. lampante il Fu Mattia Giaciglio) e parvenu che provano a costruirsi una carriera inesistente (l’onnipresente silouette del DS Rocco Mandarino).
Montella parte bene: opta per un 433 accorto e diretto, reattivo più che propositivo, rivisto dopo i primi fortunali; annuisce a tutti ma è abbastanza furbo da non porre obiettivi, non fare proclami, escludere le pippe peggiori in modo definitivo (Poli, Honda, Bertolacci non vedranno il campo fino a febbraio) e selezionare 14/15 giocatori su cui impostare la stagione. Ha particolari meriti nell’individuare l’uomo-chiave, quel Suso che Miha (non un fenomeno ma nemmeno un pirla) aveva relegato a riserva di Honda. Il Milan torna a battere la juve dopo nove sconfitte consecutive in tutte le competizioni, vola al terzo posto pure mantenendo statistiche proiezionali da settimo/ottavo (dunque sfruttando tanti episodi), e in mezzo al trambusto del primo rinvio del closing va a vincere a Doha la Supercoppa. E’ il trionfo dello Iamm’bell, la filosofia montelliana del ‘pensiamoci domani’, del non farsi troppe aspettative dunque nemmeno troppi problemi. Ma questi, che lo vogliamo oppure no, prima o poi arrivano.
Preannunciato dall’ennesimo comportamento sciagurato di Niang, estromesso immediatamente dal gruppo e spedito a Londra, inizia un periodo shockante persino per il Giannino. Il ‘closing’ da prospettiva liberatoria diviene follia totale, con rinvii e tonnellate di ‘indiscrezioni’ che avvelenano e disintegrano il fragilissimo equilibrio milanista. Nel gennaio tremendo si rifà vivo Berlusconi che rimpiange Brocchi e contesta apertamente Montella, Bonaventura viene scassato e sarà fuori fino al termine della stagione, il mercato invernale che avrebbe dovuto rimediare allo squallore estivo si limita agli innesti in prestito di Deulofeu, che rispetto a Niang pare Garricha ma in realtà è solo Deulofeu, e Ocamposantos; ma per forza di cose rientrano in turnazione gli orrori, e sono dolori. Fra infortuni, atterraggi sulla Terra (Locatelli) e semplice turn over Montella perde il suo gruppo di titolari fin lì valido e inizia a buttare dentro un po’ tutti; fra scivoloni e clamorose ‘imprese’ tipo la vittoria di Bologna in 9 si tira avanti ‘a colpi di Giannino’, ma gli episodi che prima complessivamente ci premiavano ora ci puniscono e si scivola rapidamente al limite della zona europea. Lo iamm’bell non funziona più: il gruppo è disinteressato e andrebbe ripreso, e andare a cena ‘di lavoro’ con Rocco Mandarino a 3 giorni dal closing che relegherà il presunto DS al giusto anonimato non pare il massimo; giusto per fare un esempio. Aprile segna comunque la svolta: Fassone e cinesi IN, Vincenzo viene subito confermato. Vincenzo eh, sia chiaro; non ‘Montella’ ma un caro amico, uno di famiglia che ha un nome che inizia con ‘Vince’. Il gesto della nuova proprietà è tendere la mano al traghettatore, offrirgli un ruolo di primo piano nel nuovo progetto: sembra tutto possibile, anche che Iammbell da spensierato conduttore di bagnarole diventi capitano di un’impresa titanica (e con inevitabile iceberg in agguato). La stagione si chiude con cenni ampi di cazzeggio anche da parte del mister, ma l’Inter trionfa sotto questo punto di vista e si può festeggiare anche il ritorno in Europa. Inizia una nuova era sotto i migliori auspici.
Il ‘pensiamoci un’altra volta’ non può arginare un mare di problemi, e nemmeno catalizzare le aspettative. Così mentre l’estate milanista viaggia a velocità folli e crescenti ed esplode all’acquisto di Bonucci ed alle suggestioni “Aubameyang o Morata”, quella di Vincenzo va in pedalò. In quattro settimane arrivano una squadra nuova e un set di cose da fare enorme, ma il campano va al suo ritmo: inserisce i neoacquisti a spizzichi sul modulo classico, come dei Pasalic in prestito qualunque, cerca di non indispettire ‘i vecchi’ minimizzando sull’arrivo di Biglia e Bonucci in quanto leaders; la stampa lo pressa ma lui non sta al gioco e si ritira, col pedalò sempre, al largo dove le urgenze di una squadra che deve fare 20 punti in più della media degli ultimi 4 anni sembrano lontane come gli ombrelloni-oni-oni. E’ l’ultimo giro di iamm’bell ia, di spensieratezza. Come mitragliate terribili arriveranno: le inevitabili scelte di formazione, che proverà a gestire fino all’ultimo con un turn-over da manicomio; le esclusioni eccellenti (Montolivo, Abate), che non è abituato a gestire e su cui rimarrà totalmente solo; i problemi tattici, che non sa come ovviare e si ingarbuglieranno sempre più; il rapporto con un DS che esiste (a differenza del precedente) ed è un forte accentratore. Mazzata finale: viene lasciato da solo in tutti i campi a gestire la transizione psicologica da ‘obbligo Champions’ a ‘annata di transizione’.
Montella non viene confermato alle prime sconfitte. Montella eh, sia chiaro; non ‘Vincenzo’ ma uno sconosciuto, un tizio, un subordinato. Un impiegatucolo che prima lavorava per il Giannino Food&Karaoke, ditta familiare dove basta che se magnava e adesso dovrebbe guidare l’ufficio più importante del AC Milan che dovrebbe far tremare il mondo (a detta dei suoi finanziatori). Montella, facci! Montella, venghi!
Di chi è la colpa? Montella!
Il Milan a inizio settembre schianta a Roma e già lì finisce la sua avventura, che si trascina con un cambio di modulo (da sempre l’arma dei disperati) fino all’altro schianto di Genova, a fine mese; lì proprio viene sollevato da Fassone in maniera inelegante, e poi tortuosamente lasciato a fare disastri e figure di merda, ma soprattutto da capro espiatorio, fino ad oggi. Dalla cacciata del preparatore alle doppie conferenze stampa (lui da una parte, Mirabelli dall’altra), fino ai ‘tentativi’ di ‘capire’ se la squadra è col tecnico tutto declina verso un grottesco che credevamo alle spalle ed è invece ancora protagonista. Superato il turbine degli scontri diretti e condotto il Milan ai sedicesimi di Europa League viene bloccato dal catenaccio di Micione Arkan e dagli errori (cinque!) dei suoi sottoporta, proprio all’inizio del periodo del riscatto e della raccolta punti ‘facili’. Si annusava nell’aria da tempo questa conclusione, che toglie all’ambiente i facili alibi che lo Iammbell forniva e libera, probabilmente, lo spogliatoio e Mirabelli da un fastidio. Il commiato di Montella è sobrio ed elegante: “Allenare il Milan è stato un onore, lavorare con questo gruppo ancor di più. Ringrazio i tifosi per il loro sostegno, Fassone e Mirabelli per l’opportunità e il mio staff che mi ha supportato in ogni momento. Auguro a Rino di riportare il Milan dove merita“. Lo stile dell’esonero e il contorno è invece degno dell’FC Internazionale; vedremo l’esito.
Signor Montella io spero che lei sia stato veramente inadatto a questa situazione, tanto da risultare incapace persino di dare una forma fisica a questi giocatori o deprimerli a tal punto da portarli a sbagliare l’incredibile; perché se non è così saranno per noi cazzi amari. C’è chi guardando il suo Milan ormai allo sbando e spezzato da inesplicabili problemi psicologici ed ambizioni troppo grandi, oltre che da brutture tattiche su cui lei ha ovvie responsabilità, ha rimpianto persino Pippo Inzaghi. Sono provocazioni, ma gli Dei del Calcio non vogliano che fra qualche tempo, chissà, si bruci un altro fantoccio e qualcuno finisca a rimpiangere anche lei.
Larry
Categoria: Mondo Milan
Sull'autore (Profilo dell'autore)
22/11/1997, primo blu. Un ragazzino guarda per la prima volta l’erba verde di San Siro da vicino.Il padre gli passa un grosso rettangolo di plastica rosso. “Tienilo in alto, e copri bene la testa. Che fra un po’ piove”. Lapilli dal piano di sopra, quello dei Leoni. Fumo denso, striscioni grandi come case e l’urlo rabbioso: MILAN MILAN…Quel ragazzino scelse: rossonero per sempre.
Vorrei che non fosse cambiato nulla, invece è cambiato quasi tutto.
Non posso pretendere che non mi faccia male. O che non ci siano colpevoli.
Ma la mia passione, e quella di tanti altri, deve provare a restare sempre viva.





