Ritratti – Roberto Donadoni

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Cosa fa Babbo Natale in mezzo al campo? – Quando ero ragazzo questa storiella girava a Milano tra i tifosi rossoneri. Già, cosa fa Babbo Natale in mezzo al campo? Dona doni, ovvio. Però Donadoni scritto tutto attaccato. Perché, indubitabilmente, Roberto Donadoni da Cisano Bergamasco ha regalato calcio sublime per anni sul nostro e su molti altri campi in Italia ed in Europa. In questi giorni su Radio Rossonera, sfruttando un’idea che era stata proprio di milannight, stiamo scegliendo il Milan più forte di tutti i tempi, Milan Best Ever. Se dovessimo mai fare il Milan Underrated Ever, cioè il Milanista più sottovalutato di tuti i tempi avremmo un vincitore certo. In proporzione alle caratteristiche tecniche ed all’apporto in termini di produzione di calcio Donadoni è stato tra i primissimi nella storia del Milan ma ha avuto la “sfortuna” di giocare ai tempi di Baresi, Maldini, Gullit, Van Basten, Rijkaard e compagnia cantante. Per essere più chiari, anche a beneficio dei più giovani, oggi giocherebbe titolare in ogni squadra del pianeta; fosse un calciatore oggi nello splendido Barcellona di oggi farebbe stare in panchina cinque giocatori offensivi su sei, a Monaco di Baviera Robben farebbe disciplinatamente la panca. E sono stato basso.

Per la foto ringraziamo gli amici di Comunque Milan

Tecnica – Roberto nasce calcisticamente come ala destra in un calcio che ha ancora i numeri da 1 a 11 che corrispondono ai ruoli. Lui è un “sette” di quelli che si inseriscono nella bella tradizione italiana dei Bruno Conti e dei Domenghini. Saltare l’uomo e crossare non sarà mai un problema nell’arco della sua carriera ma non è quella la sua grandezza. Ha un computer nel cervello ed un goniometro nei piedi che gli permettono di essere contemporaneamente la fantasia della squadra ed un regista aggiunto. Tira anche bene da fuori ma, stranamente, segna poco. Certo, se giochi con Van Basten, Gullit, Virdis, Massaro e Simone “chissenefrega” se segni poco. Non c’è cosa che non sappia fare sul campo da gioco anche perché altre alla classe, al cross ed alla visione di gioco aggiunge un dinamismo notevole retaggio della sua formazione di “ala tornante”. I suoi allenatori lo guardano e si stropicciano gli occhi. Poi vanno nella chiesa più vicina e ringraziano con fervore.

Fortuna – Non quella di Donadoni ma la nostra, quella che abbiamo avuto vedendolo giocare. Inutile che ci prendiamo in giro, le partite di calcio non sono tutte uguali. Alcune hanno, indipendentemente dal risultato, un qualcosa che le rende uniche. Se no non si spiega la “mistica” cresciuta intorno a “Italia-Germania 4-3”. Fortunati quelli che hanno avuto la possibilità di vedere Milan – Malines 2-0 che è l’epitome del calcio di Donadoni. Il Malines è una squadra belga che nella seconda campagna in Coppa Campioni del Milan sacchiano si mette sulla strada dei rossoneri. La locuzione non è scelta a caso: il Milan è semplicemente la squadra più forte del mondo ed i belgi scelgono, figli della loro storia calcistica, di arroccarsi intorno al fenomeno che hanno in porta a difesa dello zero a zero dell’andata. E poi vediamo ai rigori cosa succede. Da copione, Preud’homme, il nome del mostro tra i pali, le prende tutte. La sintesi della partita è incredibile, una sorta di “attacco contro difesa” lungo centoventi minuti. Bene, per centouno di questi Roberto crocefigge la difesa del Malines. C’è di tutto: tiri, cross, scatti, punizioni, assist meravigliosi, lanci millimetrici in un crescendo da levare il fiato. Passano i minuti e la qualità del suo gioco migliora tanto che, da inizio secondo tempo i belgi levano la maschera e indossano l’elmetto, vanno in trincea e picchiano tutto e tutti. Qualcuno apre la borsa dei trucchi e arrivano i calcetti, le mani addosso, le provocazioni. Minuto 101’, il solito terzinaccio trattiene Donadoni che prova a liberarsi e merita uno schiaffone. Roby guarda l’avversario che fa la faccia della verginella e, finalmente, gli rende uno spintone. L’incapace in casacca nera estrae il cartellino rosso e lo manda sotto gli spogliatoi. Il giorno dopo sulla Gazzetta, il voto di Donadoni sarà 9 che significa, al netto dell’espulsione un bel 10. La perfezione.

Simbolo – Non c’è solo quello che ha fatto sul campo. Donadoni è anche il primo grande acquisto dell’epoca berlusconiana. Il ragazzo cresce nelle giovanili dell’Atalanta ed esordisce in prima squadra quando la Dea gioca in Serie B. Allora, come oggi, i nerazzurri sono il cortile di casa della Juventus. Vanno, scelgono e incamerano. Nel 1986 però il juke box sta suonando una musica diversa anche se in molti non stanno ascoltando. Silvio Berlusconi va a Bergamo, mette sul tavolo un metro cubo di banconote e costringe la dirigenza nerazzurra a pensarci. Gli Agnelli, freschi campioni d’Italia, per snobismo, stupidità o pigrizia (o forse tutte e tre insieme) non rilanciano e il Dona arriva a Milano. Il fatto che lo scudetto bianconero successivo arrivi dopo nove anni non è casuale. Come non lo è il fatto che capiti dopo l’arrivo in bianconero di Luciano Moggi. Nel frattempo il Milan compra fior di campioni e impone un calcio (sotto il profilo tecnico, tattico e manageriale) diverso e Donadoni è il suo biglietto da visita, il suo apripista. Dopo il suo acquisto tutti i trasferimenti vengono riparametrati e, soprattutto, ci fa da cartina di tornasole: “se al Milan è andato Donadoni…”. L’anno successivo infatti arrivano gli olandesi, Ancelotti e… vabbè, il resto è storia.

Numeri – Ma Roby non è simbolo solo per questo. Fuori dal campo (PS: mai una parola fuori posto, mai uno scandalo) è anche un simbolo di milanismo. Nella sede di Radio Rossonera le varie stanze sono intitolate a glorie del passato milanista. Una porta il nome di Angelo Anquilletti, terzino destro rude in campo e generoso nella vita. Così generoso da dare tanto e ricevere in cambio poco e niente. La somma, di solito, fa un numero negativo e nemmeno essere una gloria del passato rossonero ti può salvare dalla bancarotta. Tanto è vero che la famiglia del buon Angelo si trova, alla morte del padre, sul lastrico e con la casa ipotecata per cinquantamila euro. Mi piace immaginare la scena, più o meno, così. Interno giorno, tribunale di Milano. L’impiegata alza gli occhi e fissa l’uomo con i capelli ricci che gli sta di fronte pensando che lo ha già visto da qualche parte. “Scusi, dovrebbe essere iscritta ipoteca per cinquantamila euro sulla casa del Signor Angelo Mario Anquilletti, può controllare?” La donna scartabella e conferma. Una busta scivola sul tavolo. “Adesso non più. Buona giornata e grazie”. Il signore con i ricci si volta e va verso l’uscita mentre il collega dell’impiegata le chiede: “Come mai è venuto qui l’ex allenatore della nazionale?”. La signora si picchia la mano sulla fronte e dice: “Ecco dove lo avevo già visto…”

Sei scudetti, quattro Supercoppe Italiane, 3 Champions League, 3 Supercoppe Uefa, 2 coppe intercontinentali e il pagamento dell’ipoteca di una vecchia gloria che con lui ha condiviso la maglia dell’Atalanta e del Milan. Evidentemente per essere Babbo Natale (Donadoni) sul campo, bisogna essere Donadoni anche fuori.

Donadoni eheeee, Donadoni ohooooo, donadoni eheeeeee,
per sempre rossoner

Pier

La prima volta che sono entrato a San Siro il Milan vinceva il suo decimo scudetto. Ai miei occhi di bambino con la mano nella mano di suo nonno quello era il paradiso. Migliaia di persone in delirio, i colori accesi di una maglia meravigliosa e di un campo verde come gli smeraldi. I miei occhi sulla curva e quello striscione "Fossa dei leoni" che diceva al mondo come noi eravamo diversi dagli altri, leoni in un mondo di pecore. Da allora ogni volta, fosse allo stadio, con la radiolina incollata all'orecchio o davanti alla televisione la magia è stata sempre la stessa.