Milan-Bologna presentazione

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Scrivo l’articolo tra il primo e il secondo tempo delle partite di domenica pomeriggio, quindi non conosco ancora il risultato finale di Lazio-Atalanta, né tantomeno quello di Genoa-Roma, match che coinvolgono le nostre tre principali rivali per la corsa Champions. Il tutto senza contare la principale preoccupazione, gli avversari peggiori da battere per sperare di avere almeno una minima speranza di agguantare l’obiettivo stagionale, vale a dire noi stessi. Siamo noi, come sempre negli ultimi anni, i primi che dobbiamo battere, con i nostri fantasmi da superare, le nostre idiosincrasie da affrontare, la nostra mentalità ormai mediocre da archiviare. Come dicevo una settimana fa, ormai il copione delle nostre stagioni è tanto scontato da risultare noioso e, almeno personalmente, la delusione ha fatto da tempo spazio alla rassegnazione. Mi sono arreso all’evidenza che cambiare, per noi, più che difficile è improbabile, al limite dell’impossibile. Ci proviamo? Può darsi. Ci riusciamo? No. Allenatore dopo allenatore, giocatori dopo giocatori, dirigenti dopo dirigenti. Se prima non si riusciva a cavare un ragno dal buco per strategie (?) a dir poco lacunose e pochissimi fondi mal spesi, oggi continuiamo a far pena… beh, per le stesse ragioni, in fondo.

Eppure il calcio è un gioco semplice: vince chi prende meno gol e chi ne fa di più. È più probabile vincere con giocatori più forti (e più adatti), che non mediocri. È più probabile che sia un allenatore con esperienza a far rendere la squadra, piuttosto chi le sue precedenti avventure le ha vissute a Sion, Pisa e Palermo. Ribadisco: non ce l’ho (più) con Gattuso. Infastidisce il tono, la rassegnazione, irrita questo brancolare nel buio che lo ha portato a ridisegnare un nuovo modulo nel momento del maggiore bisogno, ma continuare a lasciare in mano suo la squadra è come chiedere a uno studente al primo anno di ingegneria di riprogettare il Morandi. Non è possibile, non è realistico. E credo inoltre che Marco abbia centrato il punto nel suo ultimo pezzo: non è un condottiero, è un guerriero. Per fare qualche esempio sciocco, non è Aragorn, è Gimli (e ci somiglia pure). Non è Jon Snow, è Tormund. Digli cosa fare e lo farà bene, ma non aspettarti da lui strategie fulminanti, non sarà in grado di elaborarle. Penserà sempre negli schemi, al massimo conterrà la situazione, non rivoluzionerà una squadra che da anni arranca.

C’è ormai ben poco che possiamo aggiungere alle analisi e ai commenti, arrivati a questo punto della stagione. Serve solo sperare, per le partite che mancano, che gli altri facciano più passi falsi di noi, e che noi, per qualche oscuro motivo, riusciamo a vincere tutte le partite che ci restano da giocare. A partire da oggi. Come accennato, la squadra cambierà assetto di gioco, passando a un 4312 ancelottiano (e anche qui, ecco l’originalità di Gattuso). Paquetà agirà da trequartista alle spalle di Piatek e Cutrone, a centrocampo Kessiè, Bakayoko e Calhanoglu, in difesa, orfani di Conti, Calabria e Romagnoli, spazio all’inedito quartetto Abate-Zapata-Musacchio-Rodriguez, con Donnarumma in porta. E vedremo se riusciremo a spezzare le reni al temibile Bologna.

Fab

Ho questo ricordo, il primo sul Milan. Io che ad appena sette anni volevo vedere la finale di Atene, tra Milan e Barcellona… ma essendo piccolo dovevo andare a letto presto per la scuola. Allora mio padre, severo, mi permise di vedere la partita, ma solo il primo tempo. Finiti i primi 45 minuti, i miei genitori mi misero a letto, ma poco dopo sgattaiolai fuori dalle coperte e mi nascosi dietro la porta che dava sul salone. Al gol del Genio però non riuscii a trattenere la mia gioia… fortunatamente mio padre, interista, fu molto sportivo e mi lasciò concludere la visione di quella partita perfetta.