Il Milan di Elliott: giovani, montagna e il solito topolino

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Da settimane tutti gli occhi sono puntati sul martire Rangnick, il nome nuovo da spendere per non far incazzare i tifosi, per distrarli da tutto il resto. Quante ne abbiamo lette sul tedesco? Tantissime. Aggiungeteci che in pochi lo hanno realmente visto all’opera con costanza ed il mistero, quel fascino dell’ignoto, sta creando attorno a lui un’aspettativa esagerata che la comunicazione si guarda bene dallo scalfire, visti i risultati societari (sportivi, economici e gestionali).

Giovani! E’ questo che tutti hanno sulle labbra, nella speranza di trasformarci in un Ajax o un Tottenham formato 2018/19, senza neppure ricordare che già oggi il Milan è la terza squadra più giovane di tutta la serie A. Le sicure partenze di Biglia (34) e Bonaventura (30) oltre a quelle probabili di Ibrahimovic (38), Reina (37), Begovic (32) e Musacchio (29) vanno nella stessa direzione, l’unica davvero tenuta come stella polare dalla proprietà.
Il Milan di Elliott è una squadra in tono minore e se non fosse per l’arrivo del professore teutonico probabilmente volerebbero gli stracci, vista l’ennesima rivoluzione sportiva e zero nomi in grado di far brillare gli occhi ai tifosi. Oramai le parole del gazzo si sono ben insinuate tra di noi: il processo di rinascita sarà lungo, stavamo fallendo, non abbiamo soldi, dobbiamo ridurre i costi, una tremenda inondazione, le cavallette e via discorrendo. Questo è, il resto è il nostro umore che quasi si esalta per l’accostamento di ventenni di belle o ottime speranze, ma zero certezze. La carta “coi cinesi abbiamo speso 240 mln e abbiamo fatto schifo” piuttosto di higuain, piatek o paquetà non cambia la sostanza. L’unica differenza che passa per un tifoso tra spendere 240 mln o 50 è il risultato sul campo: quella che delle due vince è la migliore. Fine.
In parole povere se faccio schifo spendendo 240 mln la gestione sportiva ha fallito, se ne spendo 50 e ottengo risultati similari sono semplicemente quello che merito di essere: un club di media classifica. Magari detto da me che cerco di analizzare i bilanci suona strano, ma in realtà quello sguardo sui numeri serve solo a capire come viene gestita la macchina, ma rimango un tifoso e mi interessa il risultato sul campo.
Però ci han portato Rangnick e sogniamo imprese a occhi aperti, ovviamente sempre con lo sguardo lanciato sul futuro, perché nel presente ci dobbiamo accontentare. Da anni. Bah.

La montagna – Come detto se il Milan che verrà sarà una squadra di giovani è perché già lo è: Rangnick ne è una conseguenza, non la causa. Il tedesco però è la vetta della montagna per il tifoso, l’orizzonte da fissare e idealizzare, la scalata da compiere per tornare in cima al mondo e guardare tutto da una prospettiva ormai dimenticata, ma avremo il giusto equipaggiamento o verrà a recuperarci l’elisoccorso mentre ci togliamo i sassolini da sotto le infradito?
Il mio timore è che molti di questi giocatori siano ritenuti utili dalla proprietà perché giovani e ancora plasmabili, il tutto in barba alle loro caratteristiche. A conti fatti quanti sarebbero davvero funzionali al Kommandant? Per capirlo bisogna ricordare le peculiarità del suo gioco: tocchi di prima, lanci lunghi, gegenpressing e pressing, attacco con molti uomini, inserimenti, schemi ben collaudati.

credit Ali17

In sostanza non è necessario che i giocatori siano tecnicissimi, ma devono avere velocità di pensiero e di gambe, abbinate al lavoro di squadra. Detta così i giocatori che rimarrebbero disponibili dell’attuale rosa sarebbero davvero pochi, anzi a dirla tutta quasi nessuno possiede queste caratteristiche preannunciando l’ennesima rivoluzione copernicana. Prendete il centrocampo: quanti ne salvate? Nessuno ha tali caratteristiche tutte insieme. Ammirate san giovanni balistica: in teoria le avrebbe, in pratica non incide mai. Bennacer? Un bel torello, buona padronanza della palla, ma preferisce dribblarne tre invece di creare superiorità numerica e lanciare nello spazio. E’ giovane e gioca in una posizione non sua, ma questo dà la misura delle difficoltà insite in una rosa assemblata da tre anni di ds e idee diverse.
Elliott che farà con la nostra montagna? Perchè se non passa a sistemare sentieri e ferrate la fine è un precipizio. Pensare di far andar bene tre quarti di questa rosa al tedesco (tenete a mente le parole di Gattuso e Pioli sul vincere o perdere) o risolvere le magagne solo con giovani beh…auguri e stringiamoci forte. Già, stringiamoci forte attorno a Ralfuccio nostro o sarà l’ennesima vittima su cui verrà scaricato il tutto perché la comunicazione preferisce nascondersi al motto “chi gazzo me lo fa fare” tanto sto bello riparato.

Il topolino – Quindi è un progetto o una scommessa? Già perché tutto inizia da qui. Un progetto può essere ambizioso, quasi una scommessa, ma da quest’ultima differisce per la sua genesi e di questo voglio parlarvi.
Quest’anno causa covid il campionato non si sa ancora se ripartirà, ma nella migliore delle ipotesi avverrà il 13 giugno e udite udite ha come data ultima di chiusura il 20 agosto, con l’apertura della nuova stagione (non il campionato) il primo settembre e un mercato definito “preliminare” che termina il 31 agosto ossia in mezzo alla stagione.
A tutto questo aggiungiamo che ad oggi non vi sono indicazioni sulla modifica della data di scadenza dei contratti fissata nel 30 giugno. Ammesso e non concesso che alla società interessi ancora qualcosa di questo campionato, se avesse un progetto in cui credere ciecamente porterebbe subito Rangnick.
Al contrario una società che fa una scommessa tergiversa e aspetta rimanendo in balia degli eventi partorendo il famoso topolino. Pensateci bene: il problema potrebbe mai essere Pioli? Il tedesco si è già esposto, Maldini si è pure risentito, ma la comunicazione non ha proferito parola. Il sosia di Michael Stipe è già delegittimato, il famoso morto che cammina tenuto lì non si sa per cosa. A me sembra accanimento terapeutico a meno che Rangnick non sia la scommessa per il popolino e non il progetto sportivo di una società.
Il Milan ha una montagna da scalare e questo sarebbe il momento per far capire a tutti di avere le idee chiare, perché di topolini ne abbiamo visti fin troppi e ben sappiamo che fine fanno.

Seal

Ricordo Baresi entrare in scivolata e poi l'ovazione del pubblico, da quel momento ho capito che fare il difensore era la cosa più bella del mondo. Ancora mi esalto quando vedo il mio idolo Alessandro Nesta incenerire Ferrara sulla linea di porta mentre credeva di essere a un passo dalla gloria. Se la parola arte fosse compresa appieno le scivolate del n.13 sarebbero ammirate in loop al MoMA di New York.