La maglia è rossa, il futuro è nero. Volevate le stelle? Ce lo faranno a strisce

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Abbiamo alle spalle i 15 giorni più traumatici della nostra storia recente, con la perdita dolorosa di tre figure di riferimento degli ultimi trent’anni.

Prima l’addio del Totem Ibra, causa prima incausata della nostra rinascita recente, poi il licenziamento a sangue freddo di Paolo Maldini figlio di Cesare, infine il passaggio a miglior vita del Presidente più vincente della nostra storia.

Se l’addio di Ibra era in qualche modo annunciato, per i malanni ricorrenti che ne hanno tormentato le ultime due stagioni, e quello di Silvio Berlusconi è andato più che altro a toccare il nervo della nostalgia e del rimpianto per una grandezza probabilmente mai più raggiungibile, l’allontanamento traumatico di Paolo Maldini da parte di un porporato qualsiasi ha invece spaccato la tifoseria rossonera come non succedeva da tempo.

Dice: il MILAN NON E’ PAOLO MALDINI

Il Milan non sarà Paolo Maldini, ma con un Maldini in campo, in panchina o dietro una scrivania questa società ha vinto 13 dei suoi 19 scudetti e giocato 11 finali di Champions vincendone 7 (solo per restare ai trofei principali): il legame tra il Milan e la famiglia Maldini assume i contorni della leggenda, basti pensare alle due Coppe Campioni alzate al cielo da capitano da padre e figlio, a distanza di quarant’anni…una sineddoche calcistica delle più riuscite, insomma.

Inutile stare a rivangare gli errori recenti del Maldini dirigente, che indubbiamente ci sono stati, sia in termini di scelte sul mercato che di strategia comunicativa, d’altronde nessuno nasce imparato e il buon Paolo stava cercando di diventare un dirigente fatto e finito come molti dei giocatori da lui scelti.

Quello che però ha infastidito sono state le modalità, rozze e da resa dei conti: inutile girarci attorno, Paolo era un dead man walking dall’intervista alla Gazzetta del maggio 2022, il salvacondotto dello scudetto non poteva proteggerlo all’infinito e alla prima occasione utile gli è stato presentato il conto.

La cosa poteva forse essere digerita meglio se a monte della scelta ci fosse stato un progetto preciso e un nuovo direttore tecnico già pronto, che so, il Giuntoli della situazione; con la promozione di Moncada, i pieni poteri a Giorgio Furlani (chiii???) e la supervisione del Coach (fa già ridere cosi) la vicenda assume invece le tristi sembianze della brama di potere e dell’improvvisazione pura, tanto è vero che a distanza di 15 giorni il nostro mercato è ancora totalmente al palo e l’unica azione degna di nota è lo spargimento di improbabili veline ad uso e consumo dei soliti “giornalisti” azzerbinati.

Ma del resto, era lecito aspettarsi qualcosa di più da una proprietà in sub-affitto?

Perché per quanto vogliamo (e vogliano) raccontarcela, i vari passaggi di proprietà della nostra storia recente sono una via di mezzo tra il mistero buffo e la presa per il culo esplicita.

Inizia il buon Silvione (che Dio lo abbia in gloria) cedendo la società ad un cinese con le pezze al culo con modalità a dir poco insolite: 300 milioni arrivano a rate da paradisi off-shore, guarda caso in una fase in cui Fininvest è sotto assedio da parte di Vivendi (le banche aprono segnalazioni di operazioni sospette, ma chi deve vigilare chiude entrambi gli occhi in virtù di interessi superiori).

Poi lo Zio Yongo chiede un prestito di altri 300 milioni a tassi onerosissimi ad Elliott per completare l’acquisizione dando in pegno le azioni del Milan, e caso strano non riesce a restituirlo permettendo ai Singer di impossessarsi della società (Elliott che nello stesso periodo combatte una battaglia furiosa con Vivendi per il controllo di TIM, per la serie i nemici dei miei nemici sono miei amici).

A quel punto Elliott Fase 1 inizia a fare lo sporco lavoro che Silvio non ha voluto o saputo fare in prima persona, e ad onor del vero lo fa alla grandissima: taglia i rami secchi, dopo qualche errore iniziale mette le persone giuste al posto giusto, investe in giovani calciatori di sicuro avvenire, risana il bilancio e, buon peso, ci esce pure uno scudetto.

Niente male, non c’è che dire, soprattutto per un gestore che ha preso il Milan in conto vendita.

Ma ormai tra prestito convertito ed investimenti effettuati Elliott si è già esposto per oltre 650mln, è giunto il momento di vendere e di rendere conto ai suoi investitori, ci sarebbe anche l’acquirente disponibile, il fondo arabo Investcorp (arabi di serie B del Bahrein eh, intendiamoci, non la razza eletta che investe in Premier, ma questo passa il convento).

E però c’è un però, ed è un però grande come una casa, anzi come uno stadio, con la gigantesca speculazione immobiliare a latere: fatto 30 non vuoi fare 31?

Inizia così il Secondo Governo Elliott, o Elliott Fase 2: i Singer trovano il cugino d’America, un oscuro speculatore con esperienze pregresse nel baseball, nel football americano e nel cricket (!), incassano cash più o meno quanto hanno speso, e gli concedono un mega prestito da 600 milionazzi al 7% (Yongo 2.0, anzi YongoX2), per rendere tutto più americaneggiante lo definiscono “vendor loan”.

Miniere di fosforo e credenze col palantir sarebbero poco credibili, allora mettono su un teatrino infarcito di algoritmi, moneyball and Billy Beane, entertainment company ed auto-sostenibilità: il nuovo sogno americano della supercazzola, l’evoluzione a stelle e strisce del Giannino, un Little John 2.0 made in USA.

Niente di più e niente di meno che un cumulo di cazzate a mio avviso, e se così non fosse sarebbe ancora peggio perché sarebbe il prototipo di una società di calcio lontana anni luce dal nostro modo di concepire la passione per il pallone che rotola.

Sedicente padrone nuovo ma uomini della vecchia proprietà nei punti nevralgici guarda caso, il giovane rampollo che si è fatto le ossa alla Lehman Brothers (chissà se lavorava ancora lì nel 2008) e il vecchio Stadioni, Presidente buono per tutte le stagioni, l’uomo in grado di saltare da una proprietà all’altra con la stessa disinvoltura di un’ape nel periodo dell’impollinazione.

Dice: DIAMOGLI TEMPO E POI VEDIAMO!

Ma viste le premesse, che tempo vuoi dare a questa gente? Quello di piazzartelo comodamente nel posteriore con la cremina e il sorriso sulle labbra?

Per quello che può contare, io sono sulle barricate sin d’ora, possono portarmi Thuram o chi cazzo credono loro ma il mio giudizio me lo sono già fatto e non cambierà di una virgola.

Spero solo che ottengano al più presto possibile la concessione ed i permessi per edificare questo cazzo di stadio, la mia opinione (o per meglio dire speranza) è che vendano subito tutto il pacchetto senza nemmeno posare la prima pietra, e si tolgano prontamente dai coglioni insieme al loro lauto profitto.

FREE A.C. MILAN, YANKEE GO HOME

 

Max

 

 

 

Il mio primo nitido ricordo del Milan risale all'8 aprile 1973, compleanno della buonanima di mio papà: sono sulle sue spalle a Marassi, e' il Milan allenato dal Paron e da Cesare Maldini, vinciamo 4-1 e lui mi indica la 10 di Gianni Rivera... Da allora tutta una vita accanto ai nostri colori, vivendo con la stessa passione gioie e delusioni, cadute e rinascite, disfatte e grandi trionfi, fino alla foto a fianco...ecco, il mio Milan è finito lì, dopo è iniziata l'era del Giannino....ma adesso, forse, si ricomincia.