Ritratti – Agostino Di Bartolomei

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L’Italia è lunga e stretta – La distanza tra Milano e Roma è di 586 chilometri tutti di autostrada. Molto maggiore è quella che culturalmente separa le due “capitali d’Italia”, come vengono definite le due città. A sentire i più fieri dei loro cittadini non c’è modo di metterle d’accordo. Politica da una parte e finanza dall’altra. La pausa ministeriale da un lato e le giornate che iniziano alle sei del mattino dall’altro. Eppure, ci sono dei romani che qui a Milano si sono trovati bene ed hanno fatto, a loro modo, la storia. Quella minuscola del calcio, ma pur sempre storia. Settimana scorsa abbiamo parlato di Mauro Tassotti, romano di San Basilio, oggi tocca ad Agostino Di Bartolomei da Tor Marancia nella periferia sud di Roma. Possono tre anni vissuti senza alcun trofeo stabilire che “Ago” ha scritto la storia del Milan? Il Tasso e l’altro “romano de Milano”, Sandro Nesta, hanno dei numeri strabilianti e innumerevoli trofei da esibire mentre “Diba” può al massimo vantare una finale di Coppa Italia persa contro la Samp. Eppure io da ragazzo impazzivo per quel romano schivo e taciturno che vestiva la nostra maglia.

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Gemellaggio – A dispetto della distanza culturale e chilometrica c’è stato un tempo, anche se lo ricordano in pochi, in cui Milan e Roma erano gemellate. Quando il Milan giocava in serie B e non faceva le coppe seguivo le sorti dei giallorossi di Liedholm con un certo affetto. Il mio allenatore alla guida di una squadra forte che sfidava gobbi e cugini; come si suol dire, il nemico del mio nemico è mio amico… Con la fascia al braccio in quella squadra di campioni (Tancredi, Bruno Conti, Falcao, Cerezo, Ancelotti) giocava Agostino Di Bartolomei, classe 1955 di ruolo centrocampista spostato dalla classe del Barone Liddas al centro della difesa. Tutto si tiene dicono i francesi. Johann Cruijff sosteneva che se sai solo correre è meglio se ti dai all’atletica: è la stessa filosofia che porta il Barone a mettere un centrocampista lento al centro della difesa per impostare l’azione e giocare un calcio ancora migliore. Per logica conseguenza quando nell’estate del 1984 Agostino passa al Milan io sono un ragazzo felice. Il difensore romano arriva insieme a Wilkins, Hateley, Pietro Paolo Virdis e Giuliano Terraneo. A quel punto sognare non è più proibito ed infatti arrivano un quinto posto con qualificazione in Coppa Uefa e la finale di Coppa Italia.

Thank You, Roma – 31 maggio del 1984, sto guardando il telegiornale e arriva il servizio sulla partita persa dalla Roma il giorno precedente. Mastico amaro, il servizio passa via senza che io lo guardi ma la conclusione me la ricordo ancora adesso. Un treno di notte che si allontana dal binario della stazione Termini con un tifoso del Liverpool che canta “Thank You, Roma” sulle note dell’allora inno di Venditti. Ci rimasi male. Mi immagino cosa deve avere provato il capitano della squadra che quella finale l’ha persa sul campo. Romano, capitano della squadra del suo cuore, gioca la finale nel suo stadio e perde ai rigori; no, sono sicuro di non potermelo immaginare. Deve essere stato un dolore da spaccare il cuore. Tanto Agostino non dice niente, tanto Agostino è forte. Ulteriore dispiacere deve essere stato sentirsi dire dalla dirigenza della Roma che lui non è più necessario, che è troppo lento per il calcio di Sven Goran Erikson. A quel punto si fa vivo il Milan che lo porta nella capitale finanziaria per rilanciare le ambizioni rossonere di Giussy Farina. Ci regala 123 partite e 14 gol che sono probabilmente molti più delle parole che ha pronunciato in quel triennio. Nessun trofeo ma chissenenfrega, io ero felice di questo ragazzo di Roma che sapeva giocare a zona e che, insieme al “rasoio” Wilkins, poteva insegnarci a vincere in Italia ed in Europa.

Due gol – Poche parole e molti gol per un difensore/centrocampista abbiamo detto. Le doti calcistiche di “Ago” sono i piedi educati, un cervello con il processore di ultima generazione ed il suo carisma che lo identifica come capitano ovunque vada. Solo al Milan non indossa la fascia perché quella rossonera è già appannaggio di uno che parla ancora meno di lui. Un discorso tra lui ed il Franz potrebbe tranquillamente essere scambiato per una gara di mimi. Oltre a quelle tre caratteristiche c’è anche una “castagna” che terrorizza i portieri italiani. Diba picchia da fuori come se avesse un martello tra i pedi e su punizione segna spesso, sono quei sei sette gol a stagione che alla fine dell’anno fanno la differenza. Negli anni del referendum sul nucleare in una manifestazione spuntò anche uno spassoso striscione che recitava: “Le uniche bombe che vorrei, sono quelle di Di Bartolomei”. Al Milan ricordiamo con estremo piacere il gol del pareggio nel “derby di Attila” ma la rete che probabilmente gli segna maggiormente vita e carriera è quella fatta alla sua Roma nella prima stagione rossonera. Ruba palla qualche metro fuori dal limite, entra in area e la tocca in corsa di esterno destro mettendola alle spalle di Tancredi. Lì la sua vita cambia perché va sotto la Sud e festeggia. L’altra sud, quella di Roma che ha pianto il suo passaggio al Milan, trasecola e schiuma rabbia: colpevole. Al ritorno sono solo fischi e, dopo un contrasto con il suo grande amico Bruno Conti, scatta l’aggressione (Ciccio Graziani su tutti) e la partita finisce in rissa. Tanto Agostino non dice niente, tanto Agostino è forte.

Mi sento in un buco – La storia è figlia del caso e degli uomini. Gente capricciosa. Agostino rimane tre anni al Milan fino all’avvento di Silvio Berlusconi e Arrigo Sacchi. Il calcio scintillante e atletico del nuovo Milan non è roba per l’ormai trentaduenne centrocampista. Tanto Agostino non dice niente, tanto Agostino è forte. Arriva la cessione al Cesena (un anno da capitano) e poi alla Salernitana, vicino casa della sua amata moglie, dove ottiene una storica promozione in serie B. È arrivato il momento di ritirarsi dal mondo che gli ha dato tanto e che gli ha tolto forse di più. Tanto Agostino non dice niente, tanto Agostino è forte. Va a vivere a Castellabate in provincia di Salerno, città natale della moglie, dove inizia una vita normale e cerca di aprire una scuola calcio. Se ne sono dette tante sulla sua vita dopo il ritiro ma preferiamo lasciare ad altri il compito di capire cosa è successo la mattina del 30 maggio 1994. Dieci anni esatti dopo quella maledetta finale di Coppa dei Campioni scopriamo nella maniera più brutale che Agostino non era così forte oppure che i colpi della vita sono stati troppi. Stavolta la fine la fischia lui e non l’arbitro indirizzando quella dannata pallottola proprio su quel suo grande cuore giallorosso, che immaginiamo sia stato anche un po’ rossonero. “Mi sento in un buco” ha scritto nella sua lettera d’addio quella grande anima che non capiva come mai il grande calcio non lo chiamasse a sé. Andate a vedere quante partite un calciatore con quella classe ha disputato nella nazionale italiana e scoprirete che il numero è inferiore ad uno. Assurdo.

Domenica sera allo Stadio Olimpico si disputerà Roma – Milan, le due squadre di Agostino Di Bartolomei. Non ti chiedo di tifare per noi, so che la Roma ce l’avrai sempre nel cuore, ma sono certo che un pensiero d’affetto lo avrai anche per noi che abbiamo cantato sugli spalti il tuo coro:

Oooooooooh Agostino, Ago Ago Ago Agostino

Pier

PS: se andate a Roma, fate un salto alla Tuscolana. All’interno del parco di Villa Lais c’è un viale dedicato ad Agostino Di Bartolomei. Fermatevi, guardate la targa e cantate nella mente il suo coro.
Sono sicuro che apprezzerà.

La prima volta che sono entrato a San Siro il Milan vinceva il suo decimo scudetto. Ai miei occhi di bambino con la mano nella mano di suo nonno quello era il paradiso. Migliaia di persone in delirio, i colori accesi di una maglia meravigliosa e di un campo verde come gli smeraldi. I miei occhi sulla curva e quello striscione "Fossa dei leoni" che diceva al mondo come noi eravamo diversi dagli altri, leoni in un mondo di pecore. Da allora ogni volta, fosse allo stadio, con la radiolina incollata all'orecchio o davanti alla televisione la magia è stata sempre la stessa.