Ritratti – Mark Hateley

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La rubrica “Ritratti” ha riscosso un discreto successo segno certo della rinata passione dei tifosi rossoneri per il proprio passato. Per questo motivo abbiamo deciso di pubblicare nuovamente alcuni post già usciti in passato su milannight per averli tutti raggruppati sotto la medesima categoria. Dopo l’omaggio a Cesare Maldini ed il ricordo di Chicco Evani è la volta di un ragazzone inglese che, a differenza dei precedenti, non ha raccolto decine di trofei o fatto cose eccezionali con la maglia rossonera ma, in un certo senso ha segnato un’epoca.
Buona lettura.

Cominciamo dalla fine – La palla che esce dal piede destro di Pietro Paolo Virdis ha una parabola alta, arcuata e morbida. Vola verso l’area di rigore dell’Inter dove la stanno aspettando in due. Fulvio “Giuda” Collovati, il più forte “stopper” (così si chiamavano i difensori centrali prima dell’avvento della zona in questo paese) dell’epoca e Mark Wayne Hateley. Professione: centravanti del Milan. È il 28 ottobre 1984 sono le 15,50 e quel pallone compie il suo viaggio verso il dischetto del rigore sotto la Fossa dei Leoni. Io sono li in mezzo, proprio dietro la porta dell’Inter.

Un pizzico di storia – Il Milan non vince un Derby dal 1979, l’anno della stella, e nel frattempo ci siamo anche fatti due viaggi in serie B. Essere milanista in quegli anni aveva un significato diverso da oggi. Sono anni in cui andare a scuola, al bar ed al lavoro significa essere preso, sportivamente parlando, a “legnate” da gobbi, intertristi e qualunque “barlafuss” abbia visto anche una sola puntata de “La domenica Sportiva”. Ogni anno “ci proviamo” (passando anche per Luther Blisset) mentre dalle altre parti arrivano Rumenigge, Platini, Falcao, Zico e Socrates, fuoriclasse che hanno fatto e faranno la storia del calcio. In quella stagione però abbiamo una formazione dignitosa. Possiamo contare su un giocatore di livello europeo come Ray “rasoio” Wilkins ed è arrivato dall’Inghilterra un ragazzone di 23 anni originario di una città chiamata Wallasey. È figlio di un calciatore, attaccante pure lui, e si è messo in luce nel Coventry City e nel Portsmouth con 131 presenze e 47 gol all’attivo. Nessuna delle due squadre è il Liverpool o il Manchester United e sarebbe lecito storcere il naso ma la nostra bibbia di allora, il periodico “Forza Milan!”, ce lo dipinge come una promessa e quindi…

Pregasi notare la bandiera dei “sbabbari”

Il predestinato? – Inizia il campionato e il ragazzo è già diventato “Attila”. Non ha i piedi raffinati ma compensa con una forza fisica devastante e non c’è verso di fermarlo sia che stacchi di testa sia che parta palla al piede puntando la porta. Ne esce un esordio di quelli che riempiono il cuore di un popolo che sta cercando una guida dopo i tempi bui. L’assonanza con il nome del capo degli Unni rende praticamente automatico il soprannome anche perché due anni prima del suo arrivo Diego Abatantuono, che è già stato Donato il Ras della Fossa in “Eccezziunale veramente” diventando un riferimento per il popolo rossonero, ha impersonato il capo dei barbari nel film “Attila Flagello di Dio”. Il film non è un capolavoro e la critica del tempo lo stronca con forza ma per noi è un film di culto perché “Dieco” se ne va in giro con i suoi “sbabbari” al seguito di un vessillo rossonero. Tra i suoi seguaci ci sono Maurino di Francesco e Franz Di Cioccio, altri fratelli rossoneri, insieme ad una ragazza istriana che diventerà la signora Cecchi Gori. Se siete stati adolescenti in quel periodo di Rita Rusic avete sicuramente un buon ricordo. Il risultato al botteghino è un flop ma ci sono alcune scene che diventano un vero e proprio tormentone: A come atrocità, doppia T come terremoto e traccedia, I com’iradiddio, L come laco di sancue, A come adesso vengo su e ti spacco le corna. E se non ve lo ricordate, rompiamo un’amicizia. A proposito di ricordi, torniamo al nostro Mark. Inizia il campionato 1984/1985 ed è subito Attila: sei partite, quattro gol (tutti decisivi) più uno in Coppa Italia. E si sta avvicinando il derby.

La partita – Quando arriva la stracittadina di andata forse è la prima della milanodabere; bella gente in tribuna, un sacco di buoni giocatori da entrambe le parti, quel ragazzone che si è guadagnato il titolo del capo degli Unni in così poco tempo e, anche da parte rossonera, un sacco di aspettative. Da tanto, troppo tempo riposte nel cassetto. Forse quel giorno quando entra in campo un po’ Mark lo sa che quello è il suo destino. Il gol dello 0-1 lo segna Altobelli (e come ti sbagli…) mentre il pareggio dei nostri lo realizza quell’anima grande e fragile di Agostino Di Bartolomei. “Ago” in campo ne ha vinte tante ma fuori si è arreso a quella stronza della depressione. Lei ha vinto la battaglia ma il ragazzo triste di Roma è entrato nel cuore dei milanesi. La guerra l’ha vinta lui. Quando la palla di Virdis vola verso il dischetto del rigore (ed il destino) siamo quindi sull’1-1. Ad aspettare la sfera, dicevamo, il primo grande giuda della storia rossonera. Fulvio Collovati avrebbe dovuto essere una delle nostre bandiere, era il capitano designato, ma si è “venduto” ai topi del Naviglio. Inammissibile! La palla va verso di lui che è pronto al rinvio. Ma succede qualcosa. Anzi succede qualcuno.
Nel gergo sportivo americano si usa il termine posterizzare per indicare un gesto sportivo che passerà alla storia finendo in un cartellone pubblicitario o un poster. Ecco, succede che alle 15,50 di quella mite domenica di ottobre Attila posterizza quello che per noi era il Grande Traditore. Non si appoggia su di lui, quasi non lo tocca. Semplicemente gli salta sopra staccandolo di almeno quaranta centimetri, gira il collo con una frustata da centravanti vero e mette la palla alle spalle del capo di tutti i ratti del Naviglio, Walter Zenga. Dietro il portiere dell’Inter un popolo intero impazzisce di gioia e si riscatta. Fino al prossimo derby è “cacciaviti” 1 – “bauscia” 0.
Muti!

Gli effetti di un gol – Parliamo di una settimana da padroni e del sacrosanto diritto di sfotterli! Ah, come me la sono goduta quella settimana! Il giorno dopo quando mi ha restituito il compito in classe di matematica la professoressa, juventina, mi ha detto: “Io non riderei dopo avere preso un due…”. In quel momento anche io ho segnato il mio piccolo gol da re degli Unni trovando il coraggio di sfidare una donna che fino a quel momento aveva terrorizzato la classe con i suoi voti e la sua fama: “Lei, per sua sfortuna, non è milanista e ieri non era allo stadio. Io, si…”.
Alle 15,50 del 28 ottobre 1984 un fotografo ha preso in uno scatto solo la palla, Attila sospeso nel cielo come gli angeli ed il Grande Giuda quaranta centimetri più in basso. Quello è stato per la mia generazione il manifesto programmatico dell’essere rossoneri: qualunque cosa facciate, voi siete quaranta centimetri più in basso!

Quello che realmente conta – Pochi giorni dopo ovviamente Mark si fracassa un ginocchio. Non sarà mai più lo stesso, non riuscirà mai più ad essere Attila. Tre stagioni al Milan, compresa la prima della storia berlusconiana, ma gli infortuni hanno fatto di lui un giocatore “normale” per il campionato italiano. Al nuovo progetto rossonero servono giocatori integri fisicamente ed il suo ruolo di spacca difese viene preso da un ragazzo del Suriname con i baffi e le treccine. Dopo di noi va al Monaco (dove vince un titolo) ed ai Glasgow Rangers dove fa la parte più rilevante della sua carriera. 165 partite, 87 reti e 8 trofei (5 scudetti, 3 coppe di lega e 2 coppe di Scozia); una carriera importante ma non da capo degli Unni. In realtà non importa quello che avrebbe potuto essere. Innanzi tutto perché non abbiamo realmente mai avuto il tempo di rimpiangerlo impegnati come eravamo a contare i trofei che abbiamo vinto dopo di lui. Perché quando ha giocato la sua ultima partita con la nostra maglia a San Siro, penultima giornata del campionato 1986-87 contro il Como, è andato sotto la curva sud tenendo nelle mani un lenzuolo sul quale era riportato un suo personale ringraziamento a tutti i tifosi: “Grazie a tutti. I love you Milan. Mark Hateley”. Perché il suo apporto va ben oltre le sessantasei partite ed i diciassette gol anzi i sedici gol più uno; perché alle 15,50 di quella domenica ci ha fatto volare con lui quaranta centimetri sopra quelli là ridandoci l’orgoglio. Quel poster, da qualche parte, ce l’ho ancora…

Grazie, Attila!

Pier 

La prima volta che sono entrato a San Siro il Milan vinceva il suo decimo scudetto. Ai miei occhi di bambino con la mano nella mano di suo nonno quello era il paradiso. Migliaia di persone in delirio, i colori accesi di una maglia meravigliosa e di un campo verde come gli smeraldi. I miei occhi sulla curva e quello striscione "Fossa dei leoni" che diceva al mondo come noi eravamo diversi dagli altri, leoni in un mondo di pecore. Da allora ogni volta, fosse allo stadio, con la radiolina incollata all'orecchio o davanti alla televisione la magia è stata sempre la stessa.