Ritratti – Gianni Rivera

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In attesa della sentenza dell’Uefa, ci tiriamo sul il morale riproponendo il ritratto di uno dei grandi capitani della storia del Milan. Buona lettura

Il calciatore – Per assurdo il metodo migliore per cercare di definire Gianni Rivera non è fare l’elenco, peraltro impressionante, dei suoi successi. In maglia rossonera il tassametro segna: 3 scudetti, 4 Coppe Italia, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe delle Coppe, 1 Coppa Intercontinentale, 2 titoli di capocannoniere della Coppa Italia, 1 titolo di Capocannoniere della Serie A ed 1 Pallone d’oro primo calciatore italiano ad essere insignito del premio di miglior calciatore europeo (all’epoca il titolo andava al miglior calciatore europeo e non al migliore calciatore dei campionati europei ndr). È il centrocampista che ha segnato più gol nella storia del campionato italiano, se li contiamo tutti sono 122 in 19 anni di Milan, terzo assoluto nella storia rossonera dietro a Gunnar Nordhal e Andrji Shevchenko due con una certa qual propensione al gol. In Nazionale invece è stato campione d’Europa e vicecampione mondiale. Eppure, questa messe di vittorie e record personali non esaurisce tutti gli aspetti di un personaggio che ha segnato la storia del Milan in maniera profonda ed è entrato nel sangue dei tifosi del Milan.

Il simbolo – Per capire cosa fosse Gianni Rivera per i milanisti bisogna vedere un film, “Eccezziunale veramente”. È il millenovecentottantadue quando esce questa pellicola di Carlo Vanzina che racconta, in uno dei tre episodi nei quali è divisa, un’avventura di Donato Cavallo, il “Ras della Fossa”. La scena è la più celebre in assoluto, inutile ricordarvela. Rivederla cento volte non basta. Quando si sveglia il Ras ha sopra la sua testa il poster di Gianni Rivera e si alza dopo avere spento due candele, una rossa ed una nera ovviamente, accese sotto al santino di Gianni. Saluta la figurina, gli chiede se ha dormito bene e si fa il segno della croce. Segue poi la mitica sequenza della lettura del “Vangelo secondo me” in cui Donato racconta, con il suo strampalato italiano, che durante una partita nel 1968 Dio si affaccia a San Siro e dice a Gianni Rivera: “Ciapp’ quest’ pallone, un tanco” e vai in giro per il mondo a insegnare il gioco del calcio.

Esagerato? – No, per niente. L’anno del Mundial spagnolo non è felice per il Milan. Il ‘79 è l’anno della stella ma da lì in avanti arrivano lo scandalo del calcio scommesse, la retrocessione e la stagione in Serie B. La situazione societaria è già piuttosto fluida e confusa e le prospettive per il futuro non sono rosee. I fatti non faranno altro che confermare le previsioni e sarà la seconda retrocessione. In quegli anni non è facile essere milanisti ed il golden boy è, per i tifosi rossoneri, una sorta di feticcio. L’idolo del passato e la garanzia per il futuro: chi ci potrà tirare fuori da questa situazione se non il grande Gianni? Io, per esempio, nella mia infantile ingenuità ero convinto che sarebbe tornato a giocare a pallone e ci avrebbe riportato sul tetto del mondo. Ci è voluta tutta la pazienza di chi mi aveva insegnato il Milan per farmi comprendere che i calciatori invecchiano. Anche Rivera, nonno?

L’impatto sulla gente – L’abatino, come lo chiamava Gianni Brera al quale i milanisti non hanno mai perdonato quel nomignolo vagamente irridente, è stato un personaggio controverso. Mai completamente amato in patria (ricordate la famosa storia degli “8 minuti” in nazionale?) è assai più rispettato all’estero ma è, soprattutto, adorato dai milanisti che insieme a lui vanno contro tutto e contro tutti. La stampa, la federazione, gli arbitri e perfino la loro stessa Società. Quando, sul finire della sua avventura di calciatore, l’allora presidente del Milan Buticchi prova a piazzarlo a Firenze per Antognoni ed a Torino per Claudio Sala i “casciavit” non hanno un minuto di esitazione; scelgono Rivera e costringono Buticchi a vendere la squadra. Com’è, come non è Buticchi passa la mano.

L’impatto su di me – 6 maggio 1979. Il Milan di Liedholm, in panchina, e di Rivera, in campo con maglia numero 10 e fascia da capitano, si appresta a vincere il suo decimo scudetto, la tanto agognata stella. Il popolo rossonero riempie lo stadio oltre il consentito. Anche la parte inferiore del secondo anello rimasta chiusa per tutta la stagione perché pericolante. La questura dice che non si gioca in quelle condizioni e si rischia la sconfitta a tavolino. Ci pensa “il Gianni”. Gli danno un microfono e chiede al pubblico di arretrare. Se lo dice lui… tutti indietro e partita che inizia. Scudetto. È l’ultima partita del golden boy a San Siro, è la mia prima partita dal vivo. L’ultimo quarto d’ora all’epoca era ad ingresso libero. Mentre lo scrivo mi viene in mente mio nonno (mi aveva portato lui allo stadio) che chiede a quelli che erano lì cosa fosse successo: “Ah, Gianni ha preso il microfono e li ha fatti spostare tutti”. Alzo la testa e sopra di me incombe il colore della curva. “Li ha spostati tutti lui???”. Fa niente che a quel piccolo esodo ha contribuito una sana dose di schiaffi impartita dalla Fossa dei Leoni, la percezione è che lui possa spostare le persone. Gianni Rivera non è il capo di un popolo, lui è quel popolo.

La faccia da bravo ragazzo, davanti a tutto – Adorato dai suoi anche perché Gianni ci metteva la faccia. I milanisti stavano con lui perché lui stava con i milanisti. Per capire chi era Gianni Rivera bisogna leggere una frase. È lunga ma ci fa comprendere perfettamente il personaggio. 12 marzo 1972. Il Signor Michelotti, di Parma, assegna un rigore al Cagliari che batte il Milan per 2 a 1 e lo allontana dalla Juventus capolista (toh…). La faccio breve e copio-incollo le parole del capitano nel dopopartita: «Fino a quando a capo degli arbitri ci sarà il signor Campanati, per noi del Milan le cose andranno sempre in questo modo: saremo costantemente presi in giro. Questo non è più calcio. A parte la nostra comprensibile e incontenibile amarezza, mi spiace per gli sportivi… credono che il calcio sia ancora una cosa seria. Quello che abbiamo subito oggi è una vera vergogna. Credevo che ci avessero fregato già a Torino contro la Juventus, invece ci presero in giro a metà con l’autocritica di Lo Bello in televisione. Purtroppo per il Milan avere certi arbitri è diventata ormai una tradizione. La logica è che dovevamo perdere il campionato. D’altronde, finche dura Campanati non c’è niente da fare: scudetti non ne vinciamo. Io sono disposto ad andare davanti alla magistratura ordinaria, perché ciò che dico è vero: sino alla Corte Costituzionale. Mi hanno rotto le palle. Ha cominciato anni fa un certo Sbardella; sono cose che tutti sanno: è dunque ora che si dicano. Per vincere lo scudetto dovremmo avere almeno nove punti di vantaggio nel girone di andata. In caso contrario davvero non ce lo lasciano vincere, e se lo avessimo saputo non avremmo giocato. È il terzo campionato che ci fregano in questo modo. Sta scritto da qualche parte che il Milan non debba assolutamente raggiungere la Juventus. Fino a questo momento abbiamo trovato tre arbitri che hanno fatto tutto perché restasse sola in testa alla classifica. Se ho raccontato delle storie mi dovrebbero squalificare a vita, ma devono dimostrare che sono state storie. Così non si può più andare avanti; io ho parlato chiaro, non mi sono inventato nulla, ho detto solo cosa si verifica in campo… I casi sono due: o io mi sono inventato tutto e allora mi squalificano a vita, oppure riconoscono di avere sbagliato e bisogna cambiare, sostituire chi non è all’altezza del compito».
Erre moscia, faccia da bravo ragazzo e legnate sui denti per tutti. I milanisti di allora lo adoravano, non è difficile capire perché. Ah, ovviamente non lo squalificarono a vita…

Come chiudere un post con successo – Basta prendere la frase di un altro… Non è molto elegante ma siccome la frase è di un grande comico ed è geniale vinco facilmente. Un giorno a mio nonno è caduto il portafogli e sono uscite due foto, Padre Pio e Gianni Rivera. Gli ho chiesto: “Nonno, chi sono questi due signori?”. Mio nonno li ha rimessi nel portafogli e mi ha detto: “il primo è uno che fa miracoli. L’altro è un famoso frate pugliese…”

Pier

 

La prima volta che sono entrato a San Siro il Milan vinceva il suo decimo scudetto. Ai miei occhi di bambino con la mano nella mano di suo nonno quello era il paradiso. Migliaia di persone in delirio, i colori accesi di una maglia meravigliosa e di un campo verde come gli smeraldi. I miei occhi sulla curva e quello striscione "Fossa dei leoni" che diceva al mondo come noi eravamo diversi dagli altri, leoni in un mondo di pecore. Da allora ogni volta, fosse allo stadio, con la radiolina incollata all'orecchio o davanti alla televisione la magia è stata sempre la stessa.