Dein, Gazidis e l’autolesionismo del milanismo

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Mi rendo conto di poter essere tediante scrivendo, sempre più frequentemente, post sul nostro amministratore delegato, ma siccome a livello sportivo mi sembra di sparare sul nulla, preferisco concentrarmi su un argomento che può suscitare dibattito. Oltre al fatto che, onestamente, se ci fossero dei cronisti seri e capaci di fare il loro lavoro, magari riuscirebbero a scovare un pò di notizie sull’illuminato di via Aldo Rossi. Vorrei solo risvegliare le menti su chi ci sta guidando e come lo sta facendo. In passato ho scritto e riportato dati inconfutabili sulla sua scarsa managerialità nel mondo del calcio, oggi ne approfitto per aggiungere alcuni dettagli. Soprattutto a coloro che continuano a pensare che Gazidis sia qui a Milano per costruire qualcosa (sportivamente parlando), sappiamo molto bene cosa ha (e hanno) intenzione di costruire a livello architettonico, inutile girarci intorno.

Premessa doverosa. Gazidis non è uno sprovveduto, nè un incapace, anzi tutt’altro, ha una mission (non sportiva) e la sta portando avanti. Però spero che i vari fan, ancora presenti nel mondo rossonero, si possano porre delle domande sul suo operato. Chi si riempie la bocca parlando di Gazidis, suppongo conosca molto bene David Dein. Se non lo conosce, allora farebbe bene a studiare prima di tessere le lodi del sudafricano. David Dein può essere considerato il “creatore” dell’Arsenal moderno, colui che ha portato la squadra del nord di Londra ad essere uno dei club calcistici più famosi del Mondo, soprattutto a livello commerciale. Aggiungo io, lo ha fatto nonostante non abbia vinto vagonate di trofei come il Milan dell’epoca berlusconiana. Dal 1984 al 2007, Dein è stato il vicepresidente dell’Arsenal ma con ruoli operativi e sportivi molto delineati. Gazidis gli subentrò nel 2009, come CEO ma, di fatto, con gli stessi pieni poteri. Anche in quel caso entrò in gioco una proprietà americana a gestire i biancorossi e il sudafricano si trovò a capo della società. Ebbene Gazidis è arrivato a comandare un club che era all’apice della sua storia e visibilità. Il tavolo era imbandito, pronto per il grande salto. Eppure, nonostante, stadio di proprietà (opera messa in piedi da Dean), una rosa ancora competitiva (sempre opera di Dean e Wenger), diritti televisivi che piovono a cascata (grazie al sistema di ripartizione della FA), la società inglese rallenta la crescita sportiva in maniera drastica. La scelta del sudafricano è quella di sistemare i conti, dopo gli ingenti investimenti per lo stadio e cominciare una nuova era basata su investimenti oculati. Nuova era che, però, vede un Arsenal comprimario in campo.

Gazidis ha il merito di firmare con Puma dopo anni di Nike, dando una grossa spinta alle casse, passando da 8M£ l’anno a 30M£, sfruttando il brand in forte ascesa per i risultati precedenti. Però una volta andato via, l’Arsenal firma un nuovo accordo con Adidas da 60M£ l’anno, che nonostante la squadra non vinca nulla di importante da tempo in quel momento è il terzo contratto di sponsorizzazione tecnico migliore al mondo. Insomma il succo del discorso è semplice, in un contesto come quello dell’Arsenal post-Dean, Aivan è riuscito a non vincere nulla di importante e a lasciare l’Arsenal peggio di come lo ha trovato. Ditemi voi come possa usare la “magic wand” qui dove rimangono macerie e pozzi avvelenati e far risorgere un brand stramorto.

Chiudo questa parte dedicata all’AD con la frase che accompagnò la firma dell’accordo con Puma (la si trova anche su youtube) “…this is a very important step in terms of our progression on the pitch (…) starting on this summer this money will be available to the manager to use in the way he thinks best…”. Inutile dire che i soldi furono investiti per diverse cariche societarie, mentre sul mercato negli anni successivi arrivò solo Aubameyang a smantellamento quasi ultimato.

“L’Arsenal deve trovare un vero visionario che ama il club come un’entità sportiva storica, non solo come un’azienda moderna. Ivan Gazidis non sarà mai quell’uomo” – The Clock End – 6 novembre 2012

La comunicazione rossonera prepara l’annuncio dell’arrivo di Rangnick

Nonostante quanto scritto, leggo, vedo, sento, decine di tifosi rossoneri che si crogiolano nel passato e continuano imperterriti a riportare e narrare storie accadute decine di anni fa. La storia va sempre ricordata e aiuta per il futuro ma è arrivato il momento di guardare al presente, che è quello che ho descritto poco sopra e al futuro, che continua ad essere nebuloso. Vogliamo essere ancora qui nel 2030 a ricordarci di com’era forte Schiaffino? Mi ricordo di quando qualcuno raccontò di voler dare voce ai tifosi, ma le uniche voci che continuo a sentire sono sempre legate a ricordi trapassati o a invettive contro Juve e Inter come se fossero, ad oggi, due rivali, quando sarebbe il caso di guardarsi intorno per capire che a quei livelli ormai abbiamo anche scordato di pensare. La comunicazione e tutto ciò che sta intorno al Milan è roba da film muto, ricordi, solo ricordi e assoggettamento al potere della società. Meglio amici di un dirigente disinteressato al Milan, per avere un pò di visibilità sul web e qualche spifferata di spogliatoio da spacciare come scoop, piuttosto che essere un vero difensore del bene del Milan.

Il milanismo, secondo me, è perso come questa squadra e questa società, perchè se ci fosse un vero milanismo si combatterebbe tutto ciò che vediamo da anni a questa parte ma invece, tolte alcune eccezioni, si continua a guardare un passato che non tornerà più richiamando un amore che rimarrà indelebile ma, che se fosse vero amore, reagirebbe a questo scempio.

FORZA MILAN

Johnson

"...In questo momento l'arbitro dà il segnale di chiusura dell'incontro, vi lasciamo immaginare fra la gioia dei giocatori della formazione rossonera che si stanno abbracciando..." la voce di Enrico Ameri chiude la radiocronaca dal San Paolo di Napoli. Napoli-Milan 2-3, 1 maggio 1988. Per me, il lungo viaggio è cominciato da lì, sempre e solo con il Milan nel cuore.