Età ed esperienza

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Classe 1996

Venticinque anni. Questa l’età media del Milan 2017/2018. Venticinque virgola settantasei, a voler essere precisi. L’età media della squadra è un tema che in questi anni ha alimentato polemiche, analisi, dettagli statistici a profusione. Prima per la presenza di una troppa elevata esperienza, con mostri sacri lasciati invecchiare sul prato verde quasi fossero pregiato aceto balsamico di Modena. Poi, in questa stagione, per una età che è andata a scendere – forse troppo – specie nell’11 titolare, che spesso non è riuscito a gestire situazioni di vantaggio.

Il tema anagrafico è tornato in voga nelle ultime ore, dopo le dichiarazioni rilasciate da Gattuso:

“In Italia la parola esperienza viene confusa con l’età. L’esperienza possono averla anche ragazzi di 25/26 anni. Noi stiamo cercando questi giovani con partite importanti alle spalle e che ci possono dare una mano”

Classe 1996

Dichiarazioni che, nonostante la sentenza UEFA attesa nei prossimi 10-15 giorni, lasciano intendere che le idee della dirigenza siano comunque chiare. Gioventù, ma anche esperienza, due caratteristiche che raramente troviamo nei giovani italiani. I profili cercati dovranno dunque orientarsi più al mercato estero, dove il coraggio di buttare nuove leve nella mischia non manca. Ma è giusta la valutazione di Gattuso, Mirabelli e Fassone?

Classe 1994

Nella scorsa campagna acquisti il Milan ha investito discrete cifre su alcuni calciatori arrivati dall’estero e alla prima esperienza in A. Calhanoglu, Rodríguez e André Silva erano nell’immaginario del tifo milanista i gioielli che avrebbero dovuto impreziosire una campagna acquisti di valore e una rosa competitiva almeno per centrare l’obiettivo Champions League. Ognuno di loro, tuttavia, ha faticato molto per ambientarsi allo stile di gioco italiano, in alcuni casi non riuscendoci a pieno. Il Milan è ancora oggi un cantiere, com’è logico che sia con undici nuovi acquisti, un cambio di allenatore quasi a metà stagione e diversi infortuni che hanno penalizzato pedine fondamentali della formazione. Inserire in questo contesto altri giovani – seppur con una discreta esperienza – e magari provenienti dall’estero potrebbe essere un nuovo azzardo.

Classe 1987

Il ragionamento che il Milan dovrà fare (di nuovo, a prescindere dalla sentenza UEFA che giocoforza cambierà le carte in tavola, in senso positivo e negativo) dovrebbe essere a mio avviso quello delle squadre di A che scendono in B o di quelle di B che vengono retrocesse in C: puntare le proprie fiches su chi conosce la realtà con cui confrontarsi. Vecchi lupi di mare che sappiano mantenere la barra dritta anche con il mare in tempesta. Giocatori sì di spessore, ma italiani – in senso lato – e già preparati, psicologicamente, emotivamente e soprattutto tatticamente alla Serie A. Uomini che sappiano accompagnare la crescita di un 11 titolare già molto giovane e che ha ora solo bisogno di amalgamarsi e trovare la giusta solidità mentale per affrontare un altro campionato impegnativo dove la fascia medio alta delle squadre è di buonissimo livello, anche in alcuni casi a noi superiore.

Insomma, per essere più chiari ci mancano più profili alla Bonucci che alla Calhanoglu, alla Biglia che alla Kessié. Continuo a ritenere quello di un anno fa un mercato che darà frutti nel medio-lungo periodo, ma per fare il salto di qualità la parola su cui puntare è, al contrario del passato, esperienza.

Fabio

Ho questo ricordo, il primo sul Milan. Io che ad appena sette anni volevo vedere la finale di Atene, tra Milan e Barcellona… ma essendo piccolo dovevo andare a letto presto per la scuola. Allora mio padre, severo, mi permise di vedere la partita, ma solo il primo tempo. Finiti i primi 45 minuti, i miei genitori mi misero a letto, ma poco dopo sgattaiolai fuori dalle coperte e mi nascosi dietro la porta che dava sul salone. Al gol del Genio però non riuscii a trattenere la mia gioia… fortunatamente mio padre, interista, fu molto sportivo e mi lasciò concludere la visione di quella partita perfetta.