Un piccolo grande gioiello

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Il mercato rossonero sta vivendo da qualche settimana una fase di stagnazione abbastanza marcata. Il motivo è evidente a ognuno di noi: la difficoltà nel cedere i giocatori che abbiamo in rosa e che per un motivo o l’altro non fanno parte del progetto tecnico di Giampaolo. Un problema che ormai ci trasciniamo anno dopo anno, anzi, oserei dire lustro dopo lustro. Quello degli esuberi, per carità, è un contrattempo che il Milan “condivide” anche con altre società, dalla Juve all’Inter, dalla Roma al Napoli. Questa riflessione non ha certo lo scopo di ridimensionare il nostro personalissimo problema, ci mancherebbe: mal comune, nessun gaudio. Anche perché dalle difficoltà dell’Inter di cedere Icardi o della Juve di disfarsi di Dybala noi certo non traiamo nessun tipo di vantaggio (a meno che non riuscissimo ad acquistare uno dei due a prezzo stracciato, eventualità certo estremamente remota). Non resta che attendere, con la finestra temporale del termine del mercato che si assottiglia sempre di più e con ormai l’impossibilità manifesta di consegnare al mister la rosa definitiva e completa prima dell’inizio ufficiale della stagione.

Concentriamoci invece su altro, non su chi non farà (o non dovrebbe far) parte del prossimo Milan, ma su coloro che saranno (o dovrebbero essere) i punti fermi della squadra che lotterà per un piazzamento Champions. Facciamo un gioco: quale, secondo voi, sarà il giocatore che più crescerà sotto la guida dell’ex tecnico della Samp? O meglio, quale si imporrà come il più indispensabile? Il mio nome è quello di Lucas Paquetà. In una squadra che punterà sulla qualità, poter vantare una mezzala come il brasiliano non è obiettivamente da tutti. Parliamo oltretutto di una scelta che ricalca la tendenza delle grandi squadre europee di scommettere tutto sul bel calcio, sopperendo magari a qualche lacuna di corsa o di doti fisiche con il gioco corale e una perfetta disposizione tattica. Se un tempo (nemmeno andando troppo in là) in Europa dettavano legge le squadre che puntavano su muscoli e polmoni, oggi sono testa e piedi che hanno il favore della maggioranza delle big del Vecchio Continente.

Da questo punto di vista, pur con elementi di valore indiscutibilmente inferiore ai vari Manchester City, Barcellona, Liverpool, eccetera, il Milan segue la via tracciata dagli allenatori di queste corazzate. Un centrocampo a tre con un metronomo di qualità più che di quantità (per quanto Bennacer abbia facilità di corsa e un baricentro basso che lo aiutano nel corpo a corpo), un centrale di piede e visione di gioco come Romagnoli, un trequartista e una mezzala mancina “alla Seedorf” del Milan ancelottiano in grado di inserirsi, sostituirsi a Bennacer nella costruzione del gioco e di suggerire l’ultimo passaggio agli attaccanti. Paquetà ha messo già in mostra molte di queste qualità nei primi sei mesi italiani, pur in un contesto tecnico forse impreparato a metabolizzare e valorizzare un centrocampista della sua tipologia. Più di questo, però, il giovane verdeoro (ricordiamo la sua età: compirà 22 anni fra dieci giorni) ha messo sul tavolo una personalità quasi da veterano. Ha spesso avuto un atteggiamento proattivo durante i match, proponendosi per giocare il pallone con tranquillità; ha mostrato una buonissima visione di gioco e si è sacrificato più volte anche in fase di copertura, mettendo in mostra un’umiltà non scontata per chi è comunque arrivato in una squadra da giocatore della Selecao e da numero 10 delle selezioni giovanili verdeoro. La sua età gioca infine a suo favore, prevedendo per lui un percorso di crescita che in questa stagione può avere un’impennata positiva.

La sensazione personale, per concludere, è che Paquetà sia il vero gioiello di questo Milan. Magari non uno di quei giocatori attorno cui costruire una squadra, ma un potenziale leader silenzioso dal punto di vista del carisma e un eccellente punto di riferimento tecnico durante i match che ci troveremo ad affrontare. In più, specie in un progetto molto “green” come quello del Milan, poter far conto su un giovane costante e solido come il brasiliano può abbattere (o almeno limitare) i fisiologici passaggi a vuoto che per un motivo o per l’altro saremo costretti a subire. Certo, anche l’ambiente dovrà fare il suo: valorizzarlo senza pressarlo troppo, dandogli il tempo di crescere come anche quello di sbagliare. Il materiale, però, c’è. Eccome.

Fab

Ho questo ricordo, il primo sul Milan. Io che ad appena sette anni volevo vedere la finale di Atene, tra Milan e Barcellona… ma essendo piccolo dovevo andare a letto presto per la scuola. Allora mio padre, severo, mi permise di vedere la partita, ma solo il primo tempo. Finiti i primi 45 minuti, i miei genitori mi misero a letto, ma poco dopo sgattaiolai fuori dalle coperte e mi nascosi dietro la porta che dava sul salone. Al gol del Genio però non riuscii a trattenere la mia gioia… fortunatamente mio padre, interista, fu molto sportivo e mi lasciò concludere la visione di quella partita perfetta.