
La pausa nazionali, ormai, ha sempre più dolori che gioie in dote. Vuoi per gli infortuni, vuoi per gli impegni aggiuntivi in una calendarizzazione delle partite – non da oggi – già folle di base oppure, nel caso della Nazionale italiana, per le tremende scoppole che continuano ad arrivare di volta in volta. E se fossi in uno di quei salottini ammuffiti, ricolmi di personaggi con più ricordi che idee, sentirei già i lamenti di disappunto. Il soffio impetuoso del pugno che batte sul petto. Si sentirebbero le solite congetture su come il nostro movimento debba tornare alle sue vecchie radici, quelle che la rendevano forte e vincente tanto da poter vantare 4 mondiali vinti. Insomma, si sentirebbe la solita retorica. Un fiume di astrazione, il solito. Il fumo che mette tutti in penombra e concede a ognuno la propria opportunità per parlare, tanto, cos’altro si può aggiungere? Peccato, però, che sia lo stesso fumo che, per un ventennio intero, abbia impedito di puntare il dito contro chi era opportuno farlo. Scandire nomi e cognomi di chi, un tassello alla volta, ha costruito le basi più solide del collasso.
Non è stata certo la Norvegia di Erling Haaland ad incrinare le certezze della fragile Italia di Rino Gattuso. Piuttosto ha riaperto gli occhi a chi, furbescamente, stava provendo a richiuderli e, soprattutto, a farli richiudere ai tifosi. E così si passa alla solita fase-2 post debacle: la sopracitata retorica, gli slogan e addirittura aneddoti suggestivi come il celebre documento di Roberto Baggio datato 2010 per rilanciare il calcio italiano. Chiacchiere, fumo e nulla aggiunto ad altro nulla. La pietra tombale su ciò che ora è troppo tardi per salvare. Quando si poteva fare, è stata scelta la saggia strada del menefreghismo, del preservare ciò che andava preservato del nostro amato sistema, guardando con ostilità le voci fuori dal coro e seguendo il falso ottimismo. Si è data colpa ai ct, ai calciatori, ai sorteggi, agli oriundi, ai tifosi, ai club, a tutto ciò che poteva distogliere l’attenzione dai veri colpevoli. Alcuni ancora al loro posto. E quindi godiamoci il frutto del loro solerte impegno e perdiamoci, ancora una volta, nel chiacchiericcio generale. Forse è giusto così. Dopotutto è meglio passare il tempo a parlare delle querelle inesistenti tra Haaland e Pio Esposito.

Dopo questo prolungato quanto inutile sfogo sulla Nazionale italiana, è ora di tornare alle sorti del Milan. Stiamo per avvicinarci a quello che, con ogni probabilità, sarà l’appuntamento più atteso almeno di questo girone d’andata di campionato. Arriva il derby contro l’Inter di Christian Chivu, al momento capolista della Serie A – in coabitazione con la Roma – a due punti di vantaggio sul Milan. Salvo colpi di scena, e tocchiamo tutto il ferro del mondo, dovremmo arrivare entrambi alla sfida con tutto l’organico a disposizione. Il Milan recupera i suoi pilastri che più sono mancati: Christian Pulisic (già visto qualche minuto nello sciagurato pareggio di Parma) e Adrien Rabiot. L’Inter dovrebbe fare a meno del solo ‘lungodegente’ Mkhitaryan. Sarà una sfida importante per la banda di Max Allegri e l’ennesimo test di una squadra che sta ancora cercando la propria identità. Finora, negli scontri diretti, il Milan se l’è cavata bene sconfiggendo Napoli e Roma e pareggiando contro Atalanta e Juventus. I rimpianti, senz’altro, provengono dalle partite contro le cosiddette piccole, con particolare focus sulle neoporomosse. I nerazzurri, al momento, rappresentano lo scoglio più complicato. La squadra di Chivu, infatti, sembra quella che ha acquisito la maggior fiducia di questi tempi, specialmente, dopo i passi falsi con conseguente terremoto interno in casa Napoli, il classico terremoto da risultati negativi targato Antonio Conte. Il Milan di Allegri continua ad aleggiare nel limbo delle belle ma non bellissime. Diviso a metà tra chi lo vede come un serio competitor per il titolo – dovuto principalmente all’assenza dalle coppe europee – e tra chi continua a vederlo ancora troppo immaturo per puntare al successo già nel corso di questa stagione.

L’Inter, dal suo canto, sta cercando una ‘nuova vita’ dopo gli strascichi del post 0-5 della passata finale di Champions e, il derby, rappresenta il trampolino di lancio ideale, per loro come per noi. I nerazzurri non hanno vinto un solo derby la scorsa stagione, considerando anche quelli di Coppa Italia e della bella finale di Supercoppa Italiana. Anche questo sarà un fattore dal punto di vista delle motivazioni. Allegri è uno che, storicamente, nella Stracittadina ci sa fare ma, per avere la meglio sui nerazzurri, servirà più del semplice fattore allenatore. Servirà sicuramente avere più entusiasmo e fiducia di loro. Servirà concentrazione e coraggio nell’affrontarli. Bisognerà essere meno spreconi e imbambolati rispetto a Parma, più attenti rispetto alla gara con il Pisa e approcciare il match con un piglio propositivo fin da subito, differentemente da come è accaduto nella comunque trionfale serata casalinga contro la Roma di Gasperini. Servirà un grande Milan, per vivere una grande serata (domenica, ore 20:45) e iniziare a capire quanto ambizioso può essere questo Diavolo.
Joker
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