
Dalla finale di Coppa Italia il Milan aveva nettamente più da perdere in caso di sconfitta che da gioire in caso di vittoria, per diverse ragioni. Primo, è pur sempre la Coppa Italia: sarebbe stato un trofeo in più in bacheca, ma di secondo grado, di un’importanza minore di tanti altri presenti nella sala delle coppe. Secondo, non avrebbe salvato una stagione fallimentare sotto troppi punti di vista. Terzo, perdendo avrebbe di fatto vanificato la bella vittoria nel Derby di semifinale contro l’Inter. Quarto, avrebbe permesso ai tifosi di altre squadre di gioire della nostra disfatta. Se invece avessimo vinto certo, avremmo comunque arricchito il palmares e partecipato all’Europa League del prossimo anno. Chiaramente i rossoneri sono usciti sconfitti dall’Olimpico, meritando di subire un’altra cocente delusione di un’annata da dimenticare. È stato giusto così, è stato giusto perdere contro una squadra e una società che, di contro, da anni sta lavorando al meglio delle proprie possibilità, una società che dopo la qualificazione in Champions di un anno fa, pur avendo perduto Calafiori, Zirkzee e Thiago Motta, è stata capace di rimpiazzarli adeguatamente e di confermarsi ai livelli di un anno fa. Non sempre il calcio dà ciò che merita: stavolta lo ha fatto. Sconfitta al Milan e Coppa al Bologna. Amen.
Nei giorni precedenti al match di mercoledì ha tenuto banco l’intervista rilasciata da Zvonimir Boban ad Andrea Longoni. Un lungo confessionale in cui l’ex campione croato ha raccontato diversi retroscena della sua avventura dirigenziale al Milan e che consiglio a chiunque se lo fosse perso di recuperarselo. Un po’ volutamente, un po’ per caso, il tempismo della pubblicazione del video è stato eccellente, soprattutto a fronte di quanto successo all’Olimpico. Boban ha sparato a zero contro gran parte della dirigenza e la proprietà del Milan, contro la logica di gestione che stanno avendo gli americani, contro la loro hybris, contro la loro mancanza di visione sportiva e calcistica, contro il loro atteggiamento con cui ignorano la storia e i valori di questi colori. A prescindere che si creda completamente a ciò che ha affermato Boban o meno, credo siamo, dopo questa stagione, davanti a un bivio che determinerà i risultati sportivi rossoneri per almeno il prossimo lustro, per non dire decennio: affidarsi all’arroganza o all’autorevolezza.
Dov’è l’arroganza di questa società e dirigenza? Nella convinzione che una squadra di calcio sia da gestire come un asset. Non lo è principalmente per una ragione: una squadra di calcio è composta da persone, e le persone non si gestiscono, si seguono e si coltivano. Le persone che compongono il Milan sono i dirigenti, lo staff medico, atletico e tecnico, i giocatori, i magazzinieri, chiunque lavori a Milanello e a San Siro per questi colori, i tifosi. E per seguire e coltivare i talenti e le relazioni servono cura, intelligenza emotiva e chiaramente competenze tecniche in quello che è poi il campo di azione di ogni figura. Tutto questo per dire che un Furlani non può avere da un giorno all’altro la responsabilità di scegliere giocatori, non lo sa fare, non è il suo compito e non fa parte del suo bagaglio professionale (Boban dixit). Che Moncada è uno scout di talento, ma ha bisogno di qualcuno che completi le sue qualità con una visione che sia complementare alla sua. Che Ibrahimovic deve svolgere il ruolo dove può portare valore aggiunto, cioè a Milanello e nello spogliatoio. Cosa manca oggi? Manca una figura (o più figure) in grado di calare nella pratica una visione tecnica e sportiva ben precisa e che abbiano autorevolezza riconosciuta nel mondo del calcio. Manca Maldini, per essere più chiari. E mancherebbe anche Boban, se non fosse che il croato ha detto chiaramente che non tornerà mai più. Dell’intervista di Zorro la parte che più mi è piaciuta, che mi ha quasi fatto emozionare, è quando ha descritto come sceglieva i giocatori con Maldini. Ha sottolineato la stima e la sinergia profonda che c’era tra i due: uno sceglieva i difensori, l’altro centrocampisti e attaccanti. Discutevano, ma con rispetto e riconoscendo nell’altro la stessa propria grandezza.
Ecco, non c’è più tempo di cincischiare, di perdersi in discorsi sterili e non credibili come la maggior parte di quelli di Gerry Cardinale, che di tanto in tanto se ne esce con qualche massima che svela solo quanto poco abbia il polso della situazione. Dice Boban che ovunque, quando c’è da rimettere in sesto una squadra, servono tre anni: il primo di pulizia, il secondo di stabilità e il terzo di competitività. Ecco, il prossimo dovrà essere di pulizia. Credo che se questa convinzione non dovesse partire dalla società, allora è il caso che partisse dal tifo. La mia idea è molto semplice: deve tornare Paolo Maldini. Se non volesse per sua scelta, allora Sartori. Ma dando a chiunque arrivi un ruolo il più possibile definito e indipendente. Serve un nuovo allenatore, Conte scalda Boban, meno me. Dovessi scegliere per me sarebbero Cesc Fabregas o Xavi Hernandez. Ma serve anche dare ruoli chiari a tutta la dirigenza, ognuno deve svolgere il compito che meglio sa interpretare, senza licenze creative. Infine, intervenire su una squadra che sono convinto valga più di quanto fatto vedere quest’anno. Queste non dovrebbero essere richieste, ma pretese. Il Milan deve tornare il Milan nel più breve tempo possibile, di rivivere i tempi dei settimi posti e delle umiliazioni in ogni dove non ne ho proprio voglia. Ho voglia di soffrire, possibilmente vincere, ma anche perdere, capita, a patto però che ricominci a riconoscermi in questa squadra e questa società, cosa che non avviene più.
Fab
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