
Seconda pausa Nazionali della stagione. Dopo la prima il Milan era a -3 dalla testa della classifica. Dopo questa, a -2. Statistica sciocca che dovrebbe dirci che alla fine i passi avanti in termini sostanziali non sono stati molti, invece non è così. Dopo le prime 6 partite la classifica dice che i rossoneri sono terzi, mentre dopo le prime due a metà classifica. In più, la squadra di Allegri ha subito 1 solo gol in 4 match disputati (su rigore e affrontando Napoli e Juve, quest’ultima a Torino). Seconda miglior difesa dopo quella della Roma di Gasperini, ferma a quota 2. Differenza reti? Anche qui secondi con +6 insieme a Napoli e Atalanta, dietro l’Inter (+9). Il Milan subisce poco, eccezion fatta per il secondo tempo dell’incontro con il Napoli, giocato quasi totalmente in 10 contro 11. Crea anche molto offensivamente, ma finalizza poco con le sue punte. Ecco il vero tallone d’Achille da risolvere per poter fare il salto di qualità.
Nelle 4 partite che hanno diviso le due pause abbiamo scoperto Rabiot e abbiamo ammirato Modric, applaudito Saelemaekers e osannato (e poi consolato) Pulisic. Siamo passati dal far ridere chiunque sentisse la parola Scudetto abbinata al Milan a farci prendere in considerazione per la vittoria finale. Ecco, su questo mi sentirei di dire però che è ancora troppo presto per poter davvero sognare in grande. Perché? Perché dobbiamo segnare di più con le punte, non ci sono santi. È vero ciò che dice Allegri, che sono più i goal subiti di quelli realizzati a far vincere i campionati italiani (da 25 a 30 in 38 partite si può puntare altissimo), ma prima o poi la devi buttare dentro per passare da 1 a 3 punti conquistati. E al momento le nostre punte (meglio, i nostri “9” o presunti tali) di reti ne hanno messe a referto 0. Gimenez si muove molto e contribuisce davvero tanto alla manovra offensiva, ma ha il braccino; Nkunku è in ritardo di condizione ma sta arrivando; Leao… è Leao.
Il portoghese è stato coccolato, responsabilizzato, criticato, spronato, osannato a momenti alterni in questi 6 anni, ma non è mai stato continuo. Non ha mai, a parte la primavera del 2022, dato la sensazione di poter essere leader tecnico di questa squadra, men che meno emotivo, almeno positivamente. C’è però una cosa positiva quest’anno, rispetto lo scorso: se prima il suo umore condizionava la squadra, oggi non più. Le nostre sorti dipendono comunque, volenti o nolenti, anche da lui, ma non può più fare il bello e cattivo tempo nello spogliatoio. Questo perché se lo scorso anno aveva il compare Theo a spalleggiarlo, quest’anno ha Modric e Rabiot a fronteggiarlo, forse anche Maignan e Pulisic, le cui mentalità non sono più in minoranza a Milanello. Come dire, “ok Rafa, possiamo aspettarti ancora qualche settimana, ma se poi non segui il gruppo quello che ne avrà più da perdere sei tu”. I problemi vanno risolti, ma se ti rendi conto di non poterlo fare, allora li devi circoscrivere, controllare. E a tempo debito, puoi liberartene.
Il “tempo debito” per me non può essere oltre gennaio. Questa è la deadline che a mio avviso il portoghese dovrebbe avere ben chiara in testa. O entro gennaio ci dimostri chi sei, o, anche a costo di perderci soldi, ci liberiamo di te per prendere qualcuno più funzionale alla squadra e alle nostre ambizioni. A 26 anni non c’è più tempo per fare giochetti: è ora di crescere (Rabiot dixit).
“Arriva un momento, Billy, in cui ci dicono che non possiamo più fare i giochi da bambini. Nessuno, nessuno sa quando ce lo diranno. Ad alcuni lo dicono a diciott’anni, ad altri a quaranta, ma lo dicono a tutti” (Moneyball).
È proprio così.
Fab
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