Ritratti – Nils Erik Liedholm

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Ancora Donadoni – Adagiato sulle colline del Monferrato, in mezzo ai prodigiosi vigneti della zona sorge il paese di Cuccaro. Se ci arrivate e proseguite verso sud immersi nel verde ad un certo punto vi imbattete in una tenuta agricola. Fermatevi. Non è solo un posto dove fanno del vino buono (in zona, più o meno, non ti sbagli mai) ma è anche uno dei luoghi sacri del milanismo. Lì, dal 1973, ha vissuto Nils Erik Liedholm; se ne facciamo una questione classe e finezza di piedi e cervello nella storia del calcio allo stesso livello ne possiamo contare al massimo un paio. Sempre lì, dal 2011, viene assegnato il Premio Liedholm – campione sul campo, signore nella vita ad uno sportivo che si sia particolarmente distinto non solo per i risultati raggiunti, ma per quei valori di lealtà, correttezza, signorilità, trasparenza ed eleganza che tanto hanno contraddistinto la vita e la carriera sportiva del grande Nils (fonte: wikipedia). In giuria ci sono giornalisti importanti, Carlo il figlio di Nils, Baresi, Antognoni e Rivera. Premiato nel 2015 per il bellissimo gesto a favore della Famiglia Anquilletti che abbiamo visto settimana scorsa è stato Roberto Donadoni che condivide l’albo d’oro con Vincenzo Montella, Michel Paltini, Vicente Del Bosque, Claudio Ranieri, Carlo Ancelotti e Paolo Maldini. Ne prendo quattro a caso anche in serie B e ci vinco un paio di Champions League
Cuccaro Monferrato è gemellata con Valdemarsvik.

Viaggio nel tempo – Affacciato alla finestra della cucina di fronte allo spettacolo del verde della costa svedese il biondo centrocampista della nazionale svedese riflette sulle parole di suo padre che gli sta chiedendo se è sicuro di fare quel passo così importante. Il Milan, squadra prestigiosa anche se un po’ in declino, gli ha offerto la possibilità di andare a giocare in Italia per un progetto ambizioso. Terzi nella stagione precedente, i rossoneri rinforzeranno la squadra con lui ed il suo amico Gunnar Gren. Poi, a proposito di amici, andrà a raggiungere un altro Gunnar quel Nordhal con il quale ha condiviso quella esperienza meravigliosa che li ha portati all’oro olimpico nel 1948. Rischiano di lasciare il segno in uno dei campionati più importanti d’Europa. È deciso, partirà. “Tranquillo papà. Un anno, massimo due poi torno”. Dodici stagioni dopo, a trentotto anni suonati, appenderà direttamente le scarpe al chiodo diventando il quinto giocatore più anziano a scendere in campo per il Milan ed il secondo giocatore straniero per presenze con la nostra maglia dopo Clarence Seedorf: trecentonovantaquattro. Condite, visto che c’era, con ottantanove gol. A quel punto c’è troppa Italia nella vita di quel (non più) ragazzo svedese compresa la moglie contessa, scelta assai coerente per uno soprannominato “il Barone”. Di tornare non se ne parla nemmeno e allora tanto vale darsi alla carriera di allenatore visto che si tratta di fare quello che faceva in campo stando seduto in panchina. Tra Milan, Verona, Varese, Monza, Fiorentina e Roma allenerà per circa mille partite. Mille. Non tornerà in Svezia nemmeno dopo la sua morte, 5 novembre 2007, perché viene sepolto a Torino, la città della moglie.

Mille – Liddas, lo svedese provvisorio in Italia, è uno degli stranieri che lascia un segno indelebile nel calcio italiano. Dopo Herbert Kilpin che lo “canonizza” dandogli le regole usate dagli inglesi è il Barone che importa il modulo a zona con la difesa in linea. Arrigo Sacchi, quando arriva in rossonero, trova gente che capisce quello che dice perché Nils ha già spiegato a tutti come si gioca in linea. Già, per chi non lo sapesse Liedholm è il primo allenatore del Milan di Silvio Berlusconi; allena nell’anno del passaggio di proprietà e nella stagione successiva anche se per sole venticinque partite sostituito per la fine della stagione da Fabio Capello. Mille partite più quelle da giocatore, una vita intera passata a dispensare calcio di grande classe e perle di saggezza.
Nils nasce con un computer al posto del cervello che, avendo la fortuna di dare gli ordini a due piedi fatati, mette ordine nel calcio del Milan del dopoguerra. “La volta che a San Siro scoppiò un grande applauso perché finalmente, dopo anni, avevo sbagliato un passaggio”; questa la raccontava lui perché non rientrava nei tabellini ma mio nonno giurava e spergiurava di averlo visto dal vivo così come tutti quelli della sua generazione. Quindi è vera come quell’altra famosa: “La volta che a San Siro scoppiò un grande applauso perché finalmente, dopo anni, aveva sbagliato un passaggio”. Per i più giovani stiamo parlando di Andrea Pirlo ma alto un metro e ottantacinque; per uno così oggi vanno via tra i 150 ed i 160 milioni di euro. Facile.

Eredità calcistica – Ricapitoliamo: giocatore splendido, capitano del Milan, allenatore innovativo, viticoltore, commentatore arguto. Il suo personaggio non è comprimibile in un post, soprattutto se a scriverlo è un “manovale” del milanismo che ha il solo merito di andare a cercare notizie su una delle colonne del nostro passato. Che fare quindi? Innanzi tutto si elencano i numeri che saranno anche freddi ma tendono a dire la verità. 2 campionati svedesi, 4 campionati italiani (Milan), 2 coppe latine (Milan), 1 oro olimpico. Perde una finale di Coppa dei Campioni per colpa del Real Madrid di Gento, Di Stefano e Puskas ed una finale di Campionato del Mondo contro il Brasile di Pelè (entrambe con la fascia da capitano) ma è evidente che il livello è quello. Lascia la fascia a Cesare Maldini che a sua volta la consegnerà a Gianni Rivera. Anche i numeri da allenatore sono importanti: 1 campionato di Serie B, 2 campionati di Serie A (uno con la Roma ed uno con il Milan e 3 coppe Italia (Roma) alle quali bisogna aggiungere la finale di Coppa dei Campioni persa ai rigori contro il Liverpool. Tanto, tantissimo.

Eredità culturale – Ma non puoi esaurire un personaggio così con i suoi trofei. Non puoi farlo nemmeno elencando le cose che ha lasciato al calcio italiano come la difesa a zona. Quindi? Curiosamente è proprio lui a venirci in soccorso attraverso le frasi che ha regalato ai cronisti nel corso della carriera. Un filosofo prestato al mondo del pallone con un senso dell’ironia che nel calcio di oggi farebbe la gioia delle televisioni di tutto il mondo. Fate Mourinho ma con la classe di un Pari d’Inghilterra.
“Il possesso di palla è fondamentale: se tieni il pallone per 90 minuti, sei sicuro che l’avversario non segnerà mai un gol”.
“Gli schemi sono belli in allenamento: senza avversari riescono tutti”
“Si gioca meglio in dieci contro undici”.
“La partita perfetta è quella che finisce 0-0”.
Queste le sentiamo anche oggi a trenta o quaranta anni di distanza.
Non era solo un saggio maestro di calcio ma anche un comunicatore eccezionale sempre sul filo della provocazione.
“Stai bene? Allora ce la fai a salire le scale della tribuna…”
“Galderisi si lamenta perché non gioca? Non deve preoccuparsi, lo considero un fuoriclasse, ma a volte anche i migliori devono sedere in panchina. Guardate Nuciari: da 4 anni è il miglior portiere italiano, eppure non gioca mai!”.
Vetriolo puro come quello dispensato ad uno dei suoi presidenti, Felice Colombo, al quale aveva chiesto un contratto miliardario dopo la conquista della stella. Il presidente rossonero, indignato, sbraitò il proprio diniego asserendo che un miliardo non lo avrebbe dato nemmeno a suo fratello. Il Barone lo guardò e, senza perdere il proprio aplomb, prese la porta. Si fermò sulla soglia e disse con quel suo inconfondibile accento svedese: “Ha ragione. Ho conosciuto suo fratello e nemmeno io gli darei un miliardo…”. Pare che sia leggenda anche questa ma lo era anche quella dei passaggi sbagliati…

Finale – Per la chiusura ci affidiamo ad uno dei suoi tantissimi allievi, Giovanni Trapattoni. Citiamo testualmente ringraziando Wikipedia: “Liedholm è stato il primo dei miei maestri, e anche il primo Campione che ho incontrato. Lo scriva così, con la c maiuscola. Per noi calciatori giovani era un papà e uno psicologo. Ti insegnava l’educazione e il modo di stare in campo. Noi gli insegnavamo l’italiano. Tutto inutile: non ha mai imparato la pronuncia. L’ultima volta che l’ho visto, alla festa per i suoi ottant’anni, dove c’erano anche Berlusconi e Maldini, si esprimeva con gli stessi suoni gutturali nordici del 1958, l’anno del mio esordio nel Milan.”

Pier

La prima volta che sono entrato a San Siro il Milan vinceva il suo decimo scudetto. Ai miei occhi di bambino con la mano nella mano di suo nonno quello era il paradiso. Migliaia di persone in delirio, i colori accesi di una maglia meravigliosa e di un campo verde come gli smeraldi. I miei occhi sulla curva e quello striscione "Fossa dei leoni" che diceva al mondo come noi eravamo diversi dagli altri, leoni in un mondo di pecore. Da allora ogni volta, fosse allo stadio, con la radiolina incollata all'orecchio o davanti alla televisione la magia è stata sempre la stessa.