L’ukaz

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In realtà in Italiano è più usata la forma ukase, che deriva dal nome tradotto dai Francesi. Ma ukaz, preso direttamente dal russo, ha un’associazione fonetica che rende molto meglio il mio stato d’animo. L’ukaz era originariamente un editto dello zar che assumeva immediato valore di legge. L’ukaz di Ivan, grandissimo e abilissimo plenipotenziario di Elliot, collettore di sponsor e risanatore di bilanci, arriva implacabile. Segato Boban. Del resto, è stato lo stesso Zvone, con le sue dichiarazioni, a decidere la propria sorte. Capita un’antifona amara, di fronte alla quale avrà cercato per un po’ inutilmente di combattere, ha pensato una semplice cosa. Non valeva la pena continuare a spendere il suo nome per avallare un progetto, adopero una parola grossa, che, per usare un eufemismo, non lo convinceva. L’abbuffata di dirigenti di Gazidis era stata premonitrice. Ivan fagocita tutto. Prima Leonardo. Poi Boban, che rispose all’invito di Maldini. Già, e Paolo? L’ukaz non perdona. Se ne andrà anche lui, a meno che il lauto stipendio non lo convinca a rimanere a fare la bandiera. In questo caso, previa ramanzina e commovente discorso sull’unità di intenti, le alte sfere potrebbero soprassedere su qualche dichiarazione un po’… così. Ma questa è un’eventualità alla quale non credo. Francamente mi sono stancata delle bandiere. Di Paolo mi interessa poco. Mi spiace molto più per Boban. Ukaz, arriva Rangnick! Speriamo non vada in over dose da stress. Non sembra essere uno particolarmente corazzato dal punto di vista della tenuta psicologica. E la nostra non è una piazza facile. In alto i cuori.

Nel nostro roveto non ci sono rose.

Un saggio diceva che ci si può lamentare perché le rose hanno le spine o rallegrare perché i cespugli hanno le rose. Noi, fortunatamente, non ci dobbiamo arrovellare di fronte a questo difficile dilemma. Abbiamo solo rovi senza rose. Proprio quando ricomincio ad avvicinarmi alle partite con un pochino più di voglia, arriva la mazzata. Insomma, io non sono un tipo particolarmente schizzinoso. Mi so accontentare. Una squadra finalmente più sensata in campo, qualche scampolo di gioco, Ibra mi fanno subito tornare un po’ della sopita passione. Certo, le pesanti ombre che emergono durante le partite preoccupano, ma non spengono le luci che si sono intraviste. E torna pure la sana rabbia contro gli arbitri. Senza il pessimo operato di Calvarese, noi avremmo vinto, e meritatamente, a Firenze. La timida speranza che stia nascendo un sensato progetto tecnico comincia ad albergare nel mio cuore. Ci siamo liberati di Suso e di quel modulo del cappero basato su di lui. Zlatan ha fatto il miracolo. Adesso c’è qualcosa su cui costruire. Niente da fare. Si ripartirà ancora da zero. E, ukaz per ukaz, ne faccio uno io. Le mani in cui siamo non mi ispirano fiducia. Staremo a vedere, per carità. Ma il timore che i migliori se ne vadano è davvero grande. I nostri bilanci sono in profondo rosso. Dire che la situazione è allarmante appare un’affermazione riduttiva.

Gara di Coppa Italia rinviata, quando eravamo già arrivati a Torino. Ovviamente si torna indietro senza fiatare. Zitti zitti. Buoni buoni. Non contiamo nulla e ci facciamo trattare da nullità. Cosa possono pensare i giocatori di una Società che si lascia sempre prendere a pesci in faccia? Che non cerca mai di tutelarli? Di una proprietà assente, che avrà i suoi scopi, non particolarmente rassicuranti, per fidarsi totalmente solo di Gazidis? La risposta mi sembra facile. Ukaz, Ivan! Sei la longa manus di Elliott. Non hai combinato niente. Neanche due parole di Italiano ti sei degnato di imparare. Ti sei servito di bandiere da ostacolare, usandole per una sorta di captatio benevolentiae verso i tifosi. Hai scaricato su di loro, non certo perfetti, per carità, le colpe dei risultati non esaltanti. Ora sei vincitore su tutta la linea con i tuoi ukaz. Non ci saranno più divergenze di opinioni. Solo tu e i tuoi uomini a remare nella stessa direzione, che temo porti a infrangersi rovinosamente sugli scogli. Alla fine ciò che mi interessa è solo il Milan. E allora smentiscimi. Fammi vedere quel che vali. E’ venuto il tuo momento. Dimostrami che sbaglio a pensare che in realtà il tuo tempo non può arrivare mai, perchè sei nato postumo.

Tra questi ce ne sono due che proprio non sopporto.

Lo so che spesso sono cripticamente suggestiva nella mia asciutta semplicità. E’ un tratto distintivo del mio carattere riservato, reticente, schivo, introverso. Ho paura ad espormi e così divento involuta. Adesso mi sbilancio. Vi sorprenderà, ma, tra Gazidis e Boban, preferisco mille volte Zvone. Fosse stato Ivan ad andarsene, avrei fatto festa. E men che mai mi sarebbe passato per la testa l’ukaz. Mi sento come una nave. Vorrei lasciare le acque tempestose di questo Milan, staccare la spina e rifugiarmi in porti tranquilli. Certo, le navi stanno sicure nei porti. Ma sono fatte per navigare in mare aperto tra i flutti e le onde, maledizione al secchio! Costi quel che costi. Il rinvio della partita con i Gobbi almeno ha evitato l’ukaz del preannunciato scempio dello stadio aperto in modo selettivo. Davvero incredibili e irritanti le pantomime della Lega con decisioni difformi e discriminatorie. E’ stato un brutto spettacolo di gente andata nel pallone. Sembra che adesso, a causa del decreto del governo, si vada nella direzione corretta. Trattamento uniforme. Gli stadi chiusi sono una cosa desolante. E penalizzante dal punto di vista economico. Mi sembra, però, una scelta obbligata. Pur senza farsi prendere da psicosi, è giusto non sottovalutare il Coronavirus. Non si tratta di una bagatella. Un pericoloso virus è stato inoculato purtroppo da molti anni nella Società Milan. E non si riesce a debellarlo. La spasmodica attesa di una vera, nuova proprietà, l’unica terapia efficace, rischia di assomigliare a quella di Godot. I nostri sogni sono palloncini in stanze piene di spilli. Gli ukaz delle alte sfere non inducono all’ottimismo. E noi restiamo qui a soffrire. Attenzione, però, grandi capi. Prima o poi arriva la ribellione. Forte, passionale, violenta. E allora ve lo diamo noi l’ukaz!

Chiara

Se risalgo il lungo fiume della mia vita fino alle sorgenti, ci trovo sempre il Milan. Il primo? Quello di Rocco e del giovane Rivera. Molti sono meteoropatici. Io sono Milanpatica.Vivo le gioie e i dolori con la stessa dirompente intensità. Perdutamente innamorata di questi colori, non credo che l’amore sia quieta e serena accettazione. Se mi sento tradita, esplodo! E sono parole di fuoco! Ma poi, nonostante i miei fieri propositi, mi ritrovo sempre lì, immersa in un luogo dell’anima chiamato Milan.