Il brutto della diretta

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Devo dire che erano mesi, se non anni, che sentivo crescere il fastidio, l’insofferenza. In realtà il fenomeno era iniziato molto prima, addirittura affondava le radici alla fine degli anni ’90, ma il crescendo, soprattutto nell’ultimo decennio e in particolare negli ultimi anni, è stato rossiniano. Il riferimento è allo stile dei telecronisti che commentano il calcio e al fenomeno – ormai diventato prassi, salvo pochi e isolati casi – dei cosiddetti «giornalisti tifosi». 

Sia chiaro, qui nessuno vuol fare esercizio di retorica o rimpiangere un tempo in cui ci si addormentava davanti alla tv ascoltando certi resoconti sulla Tv nazionale, più piatti di un encefalogramma di una statua marmorea. Però pensare di essere cresciuti ascoltando i commenti severi, competenti e sobri di colleghi del calibro di Gianni Brera, di Italo Cucci o di Marino Bartoletti (per dirne alcuni) e ritrovarsi, a 43 anni suonati, ad assistere a sceneggiate dal sentore isterico e artefatto, ad uso e consumo del mercato,  provoca una tristezza (e un fastidio) infinita. 

Che poi a ben vedere la situazione è andata man mano peggiorando. Sì, perché se è vero che le «telecronache faziose» possono dare fastidio e mettere anche apprensione al telespettatore, è altrettanto vero che – se sono opzionali – è sufficiente non ascoltarle. Ma quando il registro della telecronaca ufficiale stessa si fa esasperato nei toni, allora il fattore scelta viene meno. Ci si trova vittime di una strategia, ponderata, probabilmente pianificata a tavolino dall’emittente, che avrà certamente un ritorno nelle «masse» ma che per una buona fetta di ascoltatori diventa una sgradita imposizione, specie se per godere delle partite si paga, e non poco. 

La spallata determinante per buttare giù due righe un pochino polemiche me l’ha servita su un piatto d’argento la telecronaca di Inter-Totthenham, Champions League. Intendiamoci. Mi sarei alterato anche se a essere commentata in quel modo fosse stata qualsiasi altra squadra, Milan compreso. A sentire i telecronisti pareva che in cabina ci fossero due abbonati alla curva Nord. Esaltazione, quasi urla, toni accesi al limite del tifo, se non oltre. Se a utilizzare certi registri fossero giornalisti dichiaratamente tifosi ancora ancora, ma se a farlo sono i telecronisti ufficiali del più importante Tv a pagamento che abbiamo in Italia allora, forse, c’è qualche cosa che non funziona a dovere. 

E nessuno cada nell’errore di credere che in quella Tv – così come in altre realtà –  si facciano «figli o figliastri». Non sarebbe nell’interesse dell’emittente. Le Tv non «tifano» per alcuna squadra. Tifano per il loro business e adeguano l’offerta alla domanda. Su cento spettatori italiani di Juventus-Liverpool (l’esempio è del tutto casuale) quanti tiferanno Liverpool? Certamente la minoranza. Ed ecco che il registro del commento sarà, volutamente, di un certo tipo. Ed è questo l’aspetto più preoccupante e antipatico, almeno per come la vedo io. 

Non siamo infatti di fronte all’esuberanza spontanea di un telecronista che si fa prendere la mano, siamo di fronte – con tutta probabilità – a scelte editoriali che non riguardano soltanto quella rete Tv, ma tutto il mondo sportivo e televisivo. Quello che anni fa succedeva soltanto quando giocava la nazionale, oggi avviene regolarmente. Prendete le trasmissioni di approfondimento. Gli eredi, per intenderci, del Processo del Lunedì, quello vero. Queste trasmissioni si sono trasformate – dagli ormai storici duelli Corno-Crudeli in avanti – in arene urlate in cui ognuno pare recitare una parte, quasi vi fosse un copione da rispettare. Una sorta di «commedia dell’arte calcistica», con tanto di maschere e gag. C’è il milanista e l’interista, il laziale e il romanista, lo juventino e il napoletano e interagiscono tra di loro sfottendosi e punzecchiandosi, in un contino gioco delle parti. Certo, fino a un certo punto tutto questo può anche essere divertente. Ma se lo show eclissa i contenuti, allora il divertimento scema e subentra la noia, che mi porta a cambiare canale.

Saremo forse vecchi. Saremo forse bacchettoni. Ma davanti alla Tv delle grida e dei siparietti rimpiangiamo la ieraticità di un Giorgio Tosatti, la professionalità di un Beppe Viola e – pensate un po’ – anche la serietà di un Maurizio Mosca. Già, proprio lui, il profeta del pendolino e il precursore delle boutade (e forse direttamente, seppur alla lontana, responsabile di ciò che è accaduto poi) che fu tra i primi a interpretare in chiave scherzosa e auto ironica il mestiere del giornalista sportivo. Ma che quando occorreva parlare seriamente sapeva farlo bene e che, proprio per serietà, non rivelò mai – se non a fine carriera – per quale squadra facesse il tifo. 

Marco Traverso

Giornalista professionista, marketing & communication manager, social media manager, fotografo amatoriale, milanista, tonsore.