Al «paziente Milan» serve aria di mare. Cutrone non può più stare a guardare. Gattuso, ti difende la storia.

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Al «paziente Milan» servirebbe proprio una dose massiccia di aria di mare per riprendersi dal malanno acutizzatosi dopo la rete a tempo scaduto di Mauro Icardi, epilogo amaro un derby sofferto e subìto, che però i rossoneri – senza la beffa finale – avrebbero potuto portare a casa senza particolari danni. Certe batoste, incassate in determinati momenti, fanno ancora più male e lasciano lividi e ferite non semplici e soprattutto rapide da curare. Strascichi che, puntualmente, si sono poi manifestati giovedì, nella gara europea casalinga contro il Betis Siviglia, persa meritatamente da una squadra apparsa – per quasi 80 minuti – abulica, demotivata e ancora sotto shock. Non solo: i giocatori chiamati a dar respiro ai titolatissimi, da Zapata a Bertolacci, fino ad arrivare a quel mistero che di cognome fa Bakayoko (che due anni fa era conteso dai più importanti club europei ed oggi non ne azzecca una o quasi) hanno dimostrato di non essere pronti nel momento in cui c’è da mettere in difficoltà l’allenatore. Ora servirebbe tanto iodio, quello che si respira con l’aria di mare, per riprendersi subito. Aria di Mar Ligure, per la precisione, considerate le prossime sfide contro Sampdoria e Genoa che, a questo punto, vanno vinte a tutti i costi, pur anche senza convincere. Sei punti, che per il Milan sarebbero come una cisterna d’acqua nel deserto. Per il gioco – se mai arriverà – ci sarà tempo. Ora conta solo vincere, stare al passo. L’obiettivo, adesso, è arrivare a gennaio ancora in corsa per le piazze che contano, con un ambiente il più possibile sereno e un clima il più possibile positivo. Aspettando, magari, oltre all’annunciato Paquetà, qualche regalino in grado di rafforzare la squadra dove serve. Ovvero, praticamente dappertutto. Sampdoria e Genoa, quindi. Due «ultime spiagge» o se preferite due scogli – tanto per restare in tema marino – tutto sommato superabili. Per una volta bisogna mettere da parte la retorica: stiamo parlando di partite già decisive, che con tutta probabilità segneranno il prosieguo di una stagione che per i più critici pare già finita oggi. Invece no. Perché sotto Juventus e Napoli c’è una Inter certamente ben costruita (ma capace di capitomboli anche imprevedibili) e poi un gruppo piuttosto folto che ambisce all’ultimo posto in Champions e che comprende a pieno titolo anche il Milan. Anche questo Milan, proprio così, che contro Lazio, Fiorentina e Roma (e se fosse stato un pelo più in forma, anche con lnter) può giocarsela e pure bene. Non crederci oggi sarebbe da pazzi. Perdersi in polemiche, pensare a quello che potrebbe succedere fuori dal campo e non strettamente al pallone, altrettanto. Così come sarebbe autolesionista, in questo momento, non remare tutti nella stessa direzione. Occorre dare un senso preciso a questa stagione. Una direzione netta. Questo è il momento giusto per farlo. Forse l’ultimo utile.

Tra i tanti dubbi, il Milan di oggi ha perlomeno una certezza, che paradossalmente, se mal gestita, potrebbe rappresentare un problema: Patrick Cutrone. Per farla brevissima: questo Cutrone non può più non giocare. Punto. Il che, ovviamente, non significa che Gonzalo Higuain debba andare a scaldare la panca. Ma è più volte parsa evidente – e non solo contro il Betis Siviglia – la carica, la voglia, la cattiveria e soprattuto la confidenza con il gol del ventenne di Como, che è stato quello che giovedì ha raccattato moralmente la squadra con il cucchiaino, l’ha buttata ancora una volta dentro e stava quasi per raddrizzare da solo l’inerzia del match. Cutrone merita un posto, in questo determinato momento in particolare, certamente a fianco del bomber argentino. In un possibile 4-4-2, con Biglia e Kessie in mezzo, Suso e Bonaventura esterni (con Castillejo e Laxalt pronti a subentrare per dare più profondità alla bisogna) e la solita difesa a 4. D’altronde, come sostengono parecchi tecnici, il 4-4-2 è il modulo della sicurezza, semplice nella sua efficacia, quello che ogni giocatore bene o male sa interpretare e al cui affidarsi nei momenti di difficoltà, senza inventarsi soluzioni tanto fantasiose quanto rischiose. E questo più che mai, per il Milan, è uno di quei momenti.

In settimana, come spesso accade negli ultimi anni quando si parla e si scrive di Milan, più che di quanto accaduto in campo si è parlato e scritto d’altro. Si è parlato di un Gattuso sempre più in bilico, di fantasmi del recente passato che ritornano, di una società infastidita, di presunti simposi carbonari e di possibili sostituti del tecnico che – a sua volta – lo scorso anno, esattamente 11 mesi fa, raccolse lo scettro di Vincenzo Montella. Metto subito le mani avanti: qui nessuno è un pasdaran dell’ex numero otto del Milan degli invincibili e nemmeno si pensa che in questo momento siano tutte rose e fiori e che gli scivoloni siano frutto del destino cinico e baro. Gattuso ha sicuramente la sua parte di responsabilità e non ci piove. Deve crescere, come peraltro molti dalle parti di Milanello, e su questo non ci sono dubbi. Però dobbiamo anche guardarci allo specchio e chiederci, con estrema onestà intellettuale: ma davvero un altro tecnico di quelli ad oggi disponibili sul mercato, uno come Donadoni, tanto per fare un esempio assolutamente non casuale, potrebbe portare un valore aggiunto tale da giustificare il cambio in corsa? E ancora: ma tutte le volte che il Milan ha effettuato cambi in corsa negli ultimi anni, poi come è andata a finire? Abbiamo svoltato o siamo rimasti, all’incirca, quelli di prima, con magari qualche tensione in più? La risposta è tanto retorica quanto drammaticamente scontata. Diverso sarebbe se per le mani la società avesse un tecnico di primissima fascia, un fenomeno della panchina con il quale raddrizzare il presente e sul quale costruire il futuro. Allora sì che, forse, il sacrificio varrebbe la candela. Ma per un Donadoni o – come si è scritto ieri – un Leonardo bis proprio no. Si tiri una bella riga su ruggini passate. Si lasci lavorare l’attuale allenatore, partendo dal concetto che ha, di fatto, a disposizione la stessa rosa dello scorso anno con un Higuain in più e un Bonucci in meno e una panchina certamente migliore ma non eccezionale. Lo si lasci lavorare e anche, nel caso, sbagliare. Ma, lasciando da parte ogni discorso di altra natura e trascurando qualsiasi piagnisteo, anche se influente, lo si valuti a maggio. Se allora i risultati non saranno stati soddisfacenti allora lo si sostituisca con uno migliore. Con un upgrade. Mandarlo a casa oggi, con la squadra che .- seppur in difficoltà – continua a sostenerlo, rappresenterebbe l’ennesimo passo falso e sbagliato, in continuità con quelli commessi dalle gestioni precedenti. 

Marco Traverso

Giornalista professionista, marketing & communication manager, social media manager, fotografo amatoriale, milanista, tonsore.