Pioli e la motivazione

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Non più tardi di un annetto fa pensavo di saperla lunga su Stefano Pioli, avendo di lui seguito bene le squadre. Lazio, per amicizie; Fiorentina per interesse. Lo giudicai senza mordente, un allenatore sbilanciato sulla performance immediata, capace di modernità ma incapace di progressi anche su sé stesso. Le sue formazioni finivano spesso per crollare sotto il peso dell’utopia del ‘avercene più degli altri e a tutto campo’ per 40 e passa, impossibili, partite.
Non so se per limiti delle squadre precedenti, o perché mancava qualcosa al mister, ma sicuramente quel che stiamo vedendo è un “2.0” o se preferiamo una realtà quanto più vicina possibile all’idea, e frutto del lavoro di Pioli che è cresciuto in tutti gli aspetti senza però uscire da quello stile familiare e asciutto che fondamentalmente ti portava a non volergli, comunque, male.
Stefano ha fatto lo step decisivo dopo il secondo posto dell’anno scorso, ottenuto fra l’altro con una partita tatticamente ‘atipica’, ultrapragmatica, essenziale a Bergamo. La fame di vittoria di questa squadra, secondo me, non arriva né dai vertici dirigenziali né da Maldini che ovviamente se che a Milano prima o poi si deve vincere ma non mi pare abbia mai fatto fretta né scoperto carte; ma arriva dal tecnico. Pioli ha capita di avere l’opportunità decisiva, portando a cascata questa motivazione a tutto il gruppo, e poi organizzandolo come abbiamo visto finora. Non ci sono peli nell’uovo da trovare, secondo me. Il rinnovo di cui si parla è giusto e meritato.

Mike Maignan non è pronto al rientro come portiere, ma si allena nel gioco con i piedi.
Sta con i compagni, lavora in gruppo, migliora i fondamentali. Questi sono i Giocatori che vogliamo, non solo ‘professionisti’ ma anche vogliosi di dare quel qualcosa in più, cosa che ha sempre caratterizzato i Milan migliori.
E questo Milan, pur mancando ancora di allori, ha dei parziali da top.
Il Tata si sta sghiacciando, ed è un personaggio simpatico e positivo; ma il Mike sarà decisivo per i nostri piani. Con lui in campo il Milan ha subito pochissimo, trovando anche un’alternativa di gioco nei lanci. La sua presenza fra i pali ha intimorito quasi tutti gli attaccanti, perché quanto ad aggressività e coraggio il francese non è secondo a nessuno e mi viene anche da dire che, senza nulla togliere ai tanti buoni portieri del torneo, è forse l’unico in serie A a interpretare il ruolo col pugno teso e lo sguardo cattivo come qualche numero 1 (vedi SuperSeba) degli anni ’90.

Bentornato infine ad Andriy Shevchenko, che si è andato a infilare in un bel barattolone di (s)marmellata. Già domenica sera gli auguro un bel debutto contro la Roma di Josè Scaricabarilinho. L’indimenticabile 7 rossonero non è un pirla anche se organizzare un attacco credibile con Sturacchio, Nonno Pandev, Kallon (se la mamma lo porta per tempo da scuola) e Pablo Ghilgamesh è una bella missione del cacchio. Io credo possa comunque fare bene e glielo auguro.
36 partite su 38 intendo.

Larry

22/11/1997, primo blu. Un ragazzino guarda per la prima volta l’erba verde di San Siro da vicino.Il padre gli passa un grosso rettangolo di plastica rosso. “Tienilo in alto, e copri bene la testa. Che fra un po’ piove”. Lapilli dal piano di sopra, quello dei Leoni. Fumo denso, striscioni grandi come case e l’urlo rabbioso: MILAN MILAN…Quel ragazzino scelse: rossonero per sempre. Vorrei che non fosse cambiato nulla, invece è cambiato quasi tutto. Non posso pretendere che non mi faccia male. O che non ci siano colpevoli. Ma la mia passione, e quella di tanti altri, deve provare a restare sempre viva.